Percorrendo gli infiniti orizzonti di questo splendido paese abitato più da animali che da cristiani immaginiamo l’immenso Giurassic Park che l’Argentina é stata prima che la storia cominciasse.
Non c’era ancora la Cordigliera, e l’Africa era unita all’America quando in un clima prima rigido poi tropicale scorrazzavano immensi dinosauri attraversando diverse ere geologiche: il giurassico (220 milioni di anni fa), il cretaceo (150 milioni) ed altre ancora che portarono grandi sconvolgimenti al pianeta per cause immaginate ma non del tutto certificate. Tutto ha una fine e i dinosauri scomparvero. Splendidi musei paleontologici sono sorti in Patagonia grazie a scavi condotti in varie zone da esperti studiosi che hanno potuto stabilire i diversi cambiamenti fisici e climatici dell’immenso territorio. Per vedere solo le zampe del Carnotaurus alte tre metri si deve andare al museo di Trelew, al museo di Bryn Gwin nel Chubut sono ricomposti altri giganteschi esemplari di predatori, gli Abelisauridi, acerrimi nemici dei Titanosauri. mentre per conoscere i resti di un cimitero di 40 titanosauro del cretaceo si deve andare al museo El Cyu nel Rio Negro.
Quando arrivò l’essere umano tutto cambiò nella Patagonia, ci vollero millenni su millenni prima dell’apparizione dei turisti propensi all’esplorazione mirata e spinti dalla curiosità di conoscere la storia passata e vivere il presente rilassandosi. Prima dei turisti signori assoluti della pampa patagonica furono i Gauchos che la dominarono fino alla fine del XIX secolo. La storia dei gauchos (senza madre in quechua ) iniziò con la distruzione delle culture indie degli aborigeni sostituiti da immigrati dall’Europa, sollecitati a venire in Argentina dall’allora generale Roca (in seguito presidente argentino) ”per civilizzare e popolare il paese”.
I nuovi arrivati diventarono i gauchos, si sparsero in quell’infinito territorio diviso tra Cile e Argentina; erano cavalieri solitari, spavaldi, fatalisti, rozzi, che si nutrivano di animali selvatici catturati nella pampa: nandù, struzzi, volpi, conigli; bevevano il mate, bevanda di erbe amarostica, diventata la bevanda nazionale argentina; vivevano in simbiosi con i loro cavalli. Anche gli animali che custodivano o catturavano erano in maggioranza stranieri: le pecore erano arrivate con gli scozzesi, le vacche e i buoi li avevano portati gli spagnoli, i cavalli andalusi erano sfuggiti ai conquistadores per questo più addomesticabili. I gauchos solcavano la pampa da nomadi assoluti su pura terra, puro ghiaccio, puro vento in un territorio dai colori puri: nero dei vulcani, bianco dei ghiacciai, cobalto del cielo, unica compagnia: la solitudine. Di notte al suono della chitarra si riposavano sotto un cielo fluido, così nero che si potevano contare le stelle. Gli alcolici li consumavano nelle osterie dei villaggi dove si ubriacavano.
La vastità non spaventava più i gauchos, non sapevano di averla finché non arrivò il filo spinato che cominciò a dividere le proprietà: fu allora che diventarono i protagonisti di un mito consolidato nella letteratura dal poema “Martin Fierro” di Jose Ernandez , dal romanzo “Don Segundo Sombra ” di Guiraldes, dai racconti di Coloane e dalle poesie di Borges. Con la loro scomparsa sorsero le estancias, le fattorie dei proprietari terrieri, i gauchos divennero salariati, ora sono paisanos o peones non più gauchos. Una volta all’anno si radunano nel paese General Juan Madariaga o a San Antonio de Areca per tener viva la nostalgia di quell’irripetibile passato.
La mia gloria é vivere libero
Come un uccello in cielo
Nessuno mi può seguire
Quando riprendo il volo….
(Vado) Dove mi portano i venti
Là rimango, al centro del mio mondo
E quando mI assale la tristezza
Bevo un goccio e mi rallegro…
Così scrive Jose Ernandez nel poema “Martin Fierro” dato alle stampe nel 1872 e diventato la bibbia dei gauchos, quei figli casuali dimenticati da tutti, figli di un destino la cui povertà si riscattò con il coraggio. Questo é quello che pensava anche Borges, che li descrisse così:
Meticci dell’uomo bianco, lo stimarono poco
Meticci dell’uomo rosso, gli furono nemici.
………..
Impararono la via delle stelle, le usanze del vento e dell’uccello
Le profezie delle nubi del Sud e della luna cerchiata
………….
Il dialogo lento, il mate e le carte furono le forme del loro tempo.
Con “la civiltà” arrivò anche il cavallo di ferro, la ferrovia Esquel-El Maitén, l’espresso patagonico, che sbuffando e fumando attraversò dal 1945 quell’immenso deserto punteggiato di mimetici villaggetti color del vento. Anche il cavallo di ferro infine tramontò, per rinascere come archeologia. Ora sbuffa e fuma con a bordo i nuovi conquistatori: i turisti.