La città più bella del mondo è lo scenario perfetto per un film sul carnevale, una manifestazione dove le epoche si mescolano in una caleidoscopica presenza di costumi di rara bellezza e originalità.
Il momento migliore per girarlo è il crepuscolo, quando la città è avvolta in un velo rosato perfetto come la città stessa. In quell’atmosfera le maschere s’impossessano dei campielli, quadrangoli di case, di dimore patrizie con al centro i pozzi, i posti più giusti per mettersi in posa. I pozzi ci ricordano che l’acqua potabile è quel bene indispensabile che nei tempi antichi era appannaggio della ricca borghesia mercantile della città. L’acqua salmastra, quella del mare è per tutti: lambisce piazza San Marco, quando non l’invade, e non si cura affatto di quei pozzi d’acqua dolce, del resto Venezia vista dal cielo sembra un enorme pesce sampietro che naviga a fior d’acqua, l’acqua della laguna.
Piazza San Marco sembra sorgere dalle acque come se fosse la sede di Poseidone, dio del mare, (il Nettuno dei romani), scelta da lui come scenario per far partecipare al carnevale anche la sua nereide Anfitrite. A Venezia le strade sono liquide, sono rii, sono canali attraversati da innumerevoli ponti che unendo le fondamenta contribuiscono a creare spettacolari archi di pietra di una perfetta scenografia sul palcoscenico della bellezza universale di questa città irripetibile. La basilica di San Marco respira l’eco di Bisanzio, di quella Santa Sofia, non a caso diventata la moschea. E’ dentro la basilica di San Marco tra i bagliori d’oro che s’ammirano le rappresentazioni bibliche, fonte inesauribile d’ispirazione per i costumi storici del carnevale. Tra calle e rii sfilano i travestimenti, in una festa di colori, un’occasione unica per mimetizzarsi almeno una volta all’anno sotto un’altra identità. Sulla terrazza della basilica tra le cinque cupole argentate sono “atterrati” i cavalli dorati venuti da Costantinopoli. La loro origine ellenistica tramanda che il cavallo è quell’animale sacro, generato da Poseidone tra le onde del mare. Cinque cupole, cinque doppi archetti, ripetuti in facciata su due piani: tutti questi cinque ribadiscono un concetto ortodosso il cui significato da noi si è perso, ma che vuole testimoniare il Cristo con i quattro evangelisti. La basilica è una perfetta sintesi di significati anche esoterici, celati tra gli splendori di una sfacciata ricchezza.
Palazzo Ducale è senza dubbio il capolavoro del gotico veneziano, un enorme parallelepipedo sospeso su palafitte che sorreggono quell’incredibile mole dalla facciata rosata disegnata con fitti decori geometrici. Il palazzo è come una fortezza circondato da un’elegante merlatura che diventa una preziosa corona di marmo bianco. Non era l’aspetto di fortezza a renderlo inviolabile, ma il suo superbo splendore. Ci si sorprende ad immaginare come nei suoi raffinati interni vivessero i dogi e le loro corti, frequentati da quei mercanti artefici di uno sfarzo sfoggiato senza parsimonia. Erano loro, i mercanti, i Marco Polo dell’epoca, a portare dall’oriente le merci più preziose in uno scambio regale altamente competitivo. Chissà che feste, che ricevimenti, che balli volteggiavano in quei saloni. I ricchi per l’occasione ostentavano il benessere raggiunto alla presenza degli ambasciatori d’oriente, dei mori, sfoggiando la loro raffinata eleganza. I quattro mori di marmo rosso all’angolo del palazzo sono i testimoni che esibiscono la loro provenienza orientale.
Le maschere del nostro tempo hanno l’opportunità di affacciarsi tra le arcate dalla terrazza per farsi ammirare e fotografare. Che importanza ha oggi se il gran ballo del Doge si svolge a palazzo Pisani-Moretta, e non più nella sua sede originale? I ricchi mostrano qui i loro costumi e cenano a carissimo prezzo nel giorno più importante del carnevale. Dopo cena, gli ospiti affacciati da quella sede privilegiata sul Canal Grande salutano le maschere che invadono la città, è quasi un gioco di specchi ribaltabile. Il palazzo non sfigura, é di gotica bellezza. Feste di questo tipo si tengono in forma privata in tanti illustri palazzi, eleganti dimore che fiancheggiano il Canal Grande. Splende per raffinatezza la Ca’ d’Oro acquistata dal principe russo Trubeckoj per donarla alla ballerina Maria Taglioni che lo salvò dalla condanna alla Siberia convincendo lo zar Nicola I a graziarlo. La divina ballerina riceveva nel suo salotto il famigerato generale Radetzky, comandante supremo dell’armata austriaca in Italia.
Le maschere avvolte in tessuti fruscianti si spostano come nubi colorate da un campiello all’altro creando scenografie sempre nuove, perché a Venezia quello che conta é anche lo sfondo. L’acqua della laguna crea toni evanescenti, impalpabili come le stoffe degli abiti. Le maschere vestite di costosi broccati girano per palazzo Ducale, per San Marco dove i signori s’incontravano e s’incontrano all’ora dell’aperitivo per bere “l’ombrina”, cioè un bicchiere di vino all’ombra del campanile. (testi e foto di Gabriella Pittari)
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