Dopo aver ammirato le bellezze naturali, goduto della speciale luce africana dall’altezza degli altipiani, visitiamo nello Mpumalanga (Luogo con tanta acqua) il villaggio Botshabelo Mission Statio diventato museo all’aria aperta. Qui si rifugiarono a metà ‘800 i cristiani ndebele per sfuggire alla schiavitù dei boeri.
E’ un tuffo nell’arte moderna, prima che fosse inventata (voglio esagerare). Le case sono dipinte con originali astrazioni geometriche dai reconditi significati ( bianco/amore, nero/dolore, verde/gelosia, rosso/lontananza, giallo/ricchezza, le righe striate sono i dubbi) realizzate con sgargianti colori primari, assiemati alla perfezione. Constatiamo che il bisogno dell’arte e della bellezza non ha confini e come dice Baudelaire “la bellezza é una promessa di felicità”. Sono le donne le artiste indiscusse di questo patrimonio di valore inestimabile. Artista di fama mondiale è Esther Mahlangu che ha portato la sua arte in diversi paesi del mondo, senza mai rinunciare al suo costume tradizionale. Anche l’abbigliamento di queste signore non ha lasciato indifferenti né noi, né alcuni rinomati stilisti. Il pittore Mondrian forse ha avuto una visione onirica! immagino che non conoscesse i villaggi ndebele e non sapesse niente delle sue donne speciali.
In aereo raggiungiamo Città del Capo (Cape Town) in splendida posizione geografica sull’oceano Atlantico con un clima eccellente, con un’architettura così varia da riassumere nei suoi edifici l’esperienza architettonica di tutti coloro che arrivando dall’Europa portarono con sé nella nuova patria i loro modelli: siamo nella città più cosmopolita d’Africa.
La colonia fu fondata al Capo di Buona Speranza nel 1652 dal mercante olandese Jan van Riebeek come stazione di rifornimento della Compagnia delle Indie Orientali, liquidata definitivamente nel 1820. Pochi anni dopo l’arrivo degli olandesi gli allevatori autoctoni cominciarono a morire di vaiolo e furono rimpiazzati nel 1795 da 20 mila schiavi trasferiti da Batavia, la capitale della loro colonia indonesiana, l’attuale Giacarta. Dopo l’abolizione della schiavitù fu istintivo per gli islamici, riunirsi attorno alla moschea Nurul Islam e costruire le loro gioiose case dagli allegri colori. Si formò così il quartiere Bo-Kaap alle pendici di Signal Hill.
Nel 1688 al Capo erano arrivati i francesi, erano gli ugonotti fuggiti dalle persecuzioni religiose. Tutto cambiò infine con l’arrivo degli inglesi sbarcati nel 1820 per contrastare le navi francesi in rotta verso l’India, tutti, proprio tutti, se ne infischiarono degli abitanti autoctoni del Paese: xhosa e zulù. Passeggiare per Cape Town é un vero piacere, anche se sembra di essere in Europa non in Africa. Partendo da Strand Street s’esplora l’Upper City Centre per conoscere i principali monumenti storici, il Castle of Good Hope, il palazzo più antico, il City Hall dove Mandela tenne il suo primo discorso da capo del nuovo Sud Africa, il District Six, l’ex quartiere dei neri ancor oggi un vivace luogo di incontri.
Sarà un’esperienza piacevole pranzare in un ristorantino del Victoria and Albert Waterfront con lo sguardo rivolto alla Table Mountain, oppure fare acquisti esclusivi al bel centro commerciale. All’interno del Groote Schuur Estate si trova l’ospedale in cui il professor Christian Barnard realizzò nel 1967 il primo trapianto di cuore al mondo. Infine salendo con la teleferica alla Table Mountain si passeggia affacciati sull’oceano Atlantico tra i cespugli di protee ammirando uno dei più bei panorami del mondo. Non lontano dal Capo si possono conoscere al National Botanic Garden tutti i tipi di protee: il fiore nazionale del Sud Africa.
Al Capo di Buona Speranza, attraversando lucidi prati d’erba, facciamo la “Gita al Faro”, (pensando a Virgilia Wolf!). Guardando il mare in uno sprazzo di memoria ho una visione, mi sembra di vedere la baleniera Pequod, uscire dal romanzo “ Moby-Dick”per doppiare il Capo.
Si prosegue sulla costa meridionale costeggiando la Garden Route che si snoda fra l’oceano Indiano e i monti passando per Swellendam, George fino a Port Elizabeth tra lucenti panorami trasformati nel tempo in estesi campi coltivati, punteggiati di piccoli aggraziati paesi dalle case bianche che tradiscono le loro origini coloniali.
A George si incontrano estesi vivai di eucalipto.
Ritroviamo lo spirito degli esuli francesi (buoni bevitori di vino a cui non potevano certo rinunciare) nell’esperienza tramandata ai viticultori sudafricani. Questa è l’origine della superba zona vinicola dove si degustano buoni vini franco-africani in splendidi giardini bordati di siepi d’ortensie che ci ricordano ambienti di casa nostra; visitiamo Stellenbosch.
Tutto è molto chic, molto piacevole, poco africano, ma c’è la godiamo lo stesso senza provare per questo sensi di colpa, del resto anche i francesi erano esuli.
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