Tutte le civiltà del mondo hanno capito che la vita dipende da quattro elementi: acqua, terra, aria, fuoco. Ogni paese però ha elaborato un suo modo per raccontarlo. In Cambogia la metafora di come Dio forgiò l’uomo, di come avvenne la creazione é particolarmente originale.
Il vasaio impasta la terra con l’acqua, a foggia di vaso (naturalmente l’uomo) poi lo inforna al fuoco; durante la cottura spalanca il forno e fa entrare l’aria; il soffio vitale crea la ceramica. Questo e molto altro ci racconta lo studioso Francois Bizot nel suo libro “Il cancello”. Io però comincerò a raccontarvi la Cambogia dalle sue bellezze ineguagliabili. Tutto cominciò con l’India che con la sua immensa cultura esportò anche la religione e di conseguenza l’arte. In Cambogia si era stabilita una colonia costiera di commercianti indiani che professavano l’induismo. Era il Funan, la popolazione preesistente si era radicata già in epoca preistorica e possedeva una sua identità culturale ed un profondo patrimonio spirituale autoctono. Andiamo a Siem Reap la città base per visitare i siti archeologici.
Che stupore! Che meraviglia arrivare davanti ad Angkor Wat, e vedere il grande tempio-montagna riflesso nel fossato, cielo, acqua: una visione. Ci vollero complessi lavori e l’esperienza idraulica degli indiani del Funan per deviare il fiume Siem Reap e rendere abitabile l’entroterra convogliando le acque degli acquitrini nel lago Tonle Sap lungo gli alvei voluti dal re Suryavarman II.
Tra quegli acquitrini bonificati sono sorti templi e città; le acque convogliate irrigavano le risaie che davano fino a quattro raccolti all’anno. I baray dei templi (bacini artificiali) durante le stagioni intermedie si riempivano di pesci, per la felicità di una popolazione che aveva di che nutrirsi per tutto l’anno.
Questo ci raccontano le guide mentre entriamo in Angkor Wat, il tempio che interpreta alla cambogiana la complessa cosmogonia indiana. Nella sua perfezione stilistica di quadrati concentrici verso l’alto, ricorda un mandala buddista: ad ogni punto cardinale si alza una torre a forma di bocciolo di fiore di loto, al centro il più alto. Boccioli che quel dissacratore di Arbasino chiama ananas gigantesche. C’inoltriamo nel microcosmo indiano, siamo davanti al monte Meru, residenza degli dei, rappresentati in terra dai Devaraja, i re dei re d’origine divina. Il fossato è circondato e custodito da un Naga, un serpente a sette teste che s’incontra all’ingresso del tempio. I Khmer erano ossessionati dal mito del serpente.
La leggenda racconta che mentre Buddha era assorto in meditazione le forze del male scatenarono una terribile tempesta per distrarlo, allora Mukalinda re dei Naga uscì dalla terra e s’attorcigliò sette volte sotto Buddha poi allargò sette teste in un ventaglio-ombrello per proteggerlo.
Angkor Wat, inizialmente dedicato a Vishnu, fu convertito al Buddismo Therevada dal re Jayavarman VII che quando nel XII secolo fondò un nuovo impero stabilì la capitale ad Angkor Thom. Molti leoni sono presenti in Angkor Wat per difendere con la loro forza virtuale le torri reliquiari che conservano le ceneri dei re defunti, come le stupa buddiste conservano le reliquie di Buddha.
Quando c’inoltriamo nelle gallerie percorriamo intere pagine del Ramayana e del Mahabarata (gli antichi poemi indiani) scolpiti sulle pareti. Splendide scene realistiche di battaglie, fitte fitte di soldati, elefanti, guerrieri che lanciano frecce, guerrieri agonizzanti a terra. Si tratta della più lunga disposizione lineare di bassorilievi su pietra al mondo, un eccezionale fumetto d’epoca.
Sulle colonne della galleria dei mille Buddha s’incontrano più di 1200 ieratiche apsara (danzatrici celesti) di bellezza angelica dalle capigliature super elaborate intrecciate con fiori, vestite di gioielli che mostrano sodi seni nudi di adolescenti, che indossano gonnellini ultima moda, che portano alle caviglie bracciali d’argento per ribadire il loro legame con la madre terra. Amitav Ghosh in “Estremi Orienti” ci racconta di quando nel maggio 1906 il re cambogiano Sisowath, realizzò il suo sogno di visitare la Francia. Arrivò in piroscafo a Marsiglia, accompagnato da dignitari di corte e dalla truppa di ballerine imperiali. Quando apparvero sul palco a Parigi si pensò che il re avesse staccato da Angkor tutte le Apsara e le avesse portate con se per dimostrare che gli angeli esistevano ed erano in Cambogia. Tra il pubblico c’era l’anziano scultore Auguste Rodin, che fulminato dalla grazia di quelle fanciulle, le seguì nella tournée e non smise di disegnarle.
Nel tempio ci sono diverse biblioteche per custodire gli antichi testi sacri.
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