l capodanno buddista-lamaista si celebra il 22 febbraio 2017. Si tratta di un evento conosciuto da pochi. Questo sito ha l'opportunità di coinvolgervi nella festività buddista attraverso le foto e la descrizione di Gabriella Pittari che vi ha assistito qualche anno fa. (prima parte)
Vado con quattro amici a Ulan Udé capitale della Repubblica Burjatija nella Federazione Russa per assistere al capodanno buddista: é febbraio. Il faticoso viaggio aereo da Mosca dura diverse ore e ci sono più 5 fusi orari. Sistemati in hotel affrontiamo il grande freddo girando tra le vie dell’anonima cittadina dall’architettura sovietica. I balconi delle case sono ornati con decorazioni d’intrecci a rete, uno dei simboli del buddismo lamaista: significa centomila anni di felicità. La zona più interessante di Ulan Udé è il vecchio quartiere di case di legno, sono le izby dei contadini russi. Le case dei mongoli-buriati erano tende, le yurte di feltro di lana di cammello, che viaggiavano al seguito della transumanza di cammelli, cavalli, pecore e capre, la loro fonte di sostentamento. La piazza principale di Ulan Udé è decisamente sovietica, un enorme spazio circondato da palazzi stile costruttivista, che convivono con altri staliniani, tutti sorvegliati dal grande faccione di Lenin. Insieme ai buriati vivono i russi, forse i discendenti degli antichi mercanti di pelli e di te cinese. Il padre del pittore Kandinskij, originario di queste parti, riceveva dalla Cina le balle di tè a Kjakhta, una ricca cittadina, al confine con la Mongolia, ridimensionata dopo la Rivoluzione. Alla periferia di Ulan Udé scorre il Selengà, che dopo aver attraversato un tratto della Mongolia sfocia nel lago Bajkal. Tutto é innevato, il manto di neve fresca copre il ghiaccio così spesso da poterci camminare sopra. Le cerimonie del capodanno si svolgono nei templi buddisti alla periferia cittadina. Due sono le principali feste del lamaismo, quella invernale che c’accingiamo a seguire, e quella estiva dedicata al Buddha del futuro, Maitreya. Andiamo al Dazan “Ivolginsk”, il tempio principale a pagoda. Qui siede il Pandido, il Khambo capo lama dei buddisti di Russia. Altri piccoli edifici sono sparsi all’interno di una staccionata bianca. I colori sono sgargianti, gli stessi del Tibet e della Mongolia. Domina Il rosso, il colore della luce, della felicità, un insolito contrasto con i colori neutri del paesaggio siberiano. Acceso è anche il verde che sembra ricreare la verdeggiante natura dell’India (l’originario paese del Buddismo). E c’è il bianco, colore del Nirvana, quello stato in cui tutto s’annulla per sempre, anche la vita. Bianca è la fede, la meditazione, la purezza e l’inverno nei paesi lamaisti siti a latitudini “impossibili”. All’aperto ci sono molti tamburi preghiera. Sono dei cilindri grandi o piccoli uno in fila all’altro all’interno dei quali é sigillata una preghiera scritta. II fedele gira i cilindri recitando quella preghiera che si diffonde nell’etere infinite volte. Il mantra principale è “Oh Mani Padme Hum” che vuol dire: “Oh Gioiello sul fiore di Loto”, un’astrazione per indicare Buddha sulla terra, poche parole per esprimere un concetto elevato. Del complesso monastico fa parte una scuola teologica dove studiano giovani aspiranti monaci sia russi che stranieri.
Il Buddismo lamaista é un ramo del Buddismo Mahayana (il Grande Veicolo) contrapposto all’Inayana (il Piccolo Veicolo), il Buddismo fondato dal Budda Sakiamuni. Nel trasferimento dall’India al Tibet sorsero due sottogruppi, dei berretti rossi e dei berretti gialli. I Buriati e i mongoli appartengono ai berretti gialli. Nell’affollato Dazan i fedeli s’accalcano parlando ad alta voce. Al centro della sala delle preghiere il Lama Candido, assiso a fiore di loto domina la sala dall’alto di un trono. Ai suoi lati siedono gli studenti su bassi sgabelli davanti ai tavolini, leggono le preghiere sui libri di fogli di banana, salmodiandole al ritmo dei tamburi. Sembrano assorti ma ci sbirciano, siamo gli unici ospiti stranieri. Le donne pregano o sfilano davanti al Buddha lasciando le offerte; pagodine di burro di yak, piccoli capolavori, miniature di stupa, il reliquiario buddista per eccellenza. Unico inconveniente: il penetrante e nauseabondo odore del burro di yak. Le statue dei lama-Bodisatva ai lati del grande Buddha dorato riempiono la parete alle spalle del Khambo-lama, rappresentano le reincarnazioni degli illuminati del tempio, coloro che hanno rinunciato al Nirvana per insegnare agli altri il percorso per la liberazione dalla reincarnazione. Il Dalai Lama del Tibet é l’incarnazione del primo Bodisatva, Padmasambawa, l’illuminato dell’infinita misericordia. All’aperto si trovano le stupa bianche dove sono sepolti i Pandido delle precedenti reincarnazioni di questo Dazan.
Lasciato il suggestivo luogo, siamo ospiti di una famiglia locale, tutti indossano gli abiti tradizionali. Le donne sono elegantissime nei loro luminescenti abiti di sete blu Cina. Il pranzo è una luculliana cerimonia agli Dei protettori, comincia con un brindisi a base di vodka, fa molto freddo e l’alcool aiuta. Il liquido viene sparso al vento per ingraziarsi gli spiriti maligni, un retaggio sciamanico-scaramantico, anche cinese. La tavola è riccamente imbandita, primeggiano i latticini, i buriati sono allevatori di animali da latte. Anche i russi ortodossi in questi giorni festeggiano l’inizio della quaresima che proibisce la carne. Quando ci lasciamo ci annusiamo in testa seguendo il tipico saluto buriato. Fine prima parte. (Testi e foto di Gabriella Pittari - segue)