Potrebbe essere vero quello riferito da un detto: “la curiosità per accingersi alla lettura di un libro spesso nasce dalla lettura anticipata del suo finale”.
La curiosità di scoprire o interpretare come si sia arrivato a quel finale,quindi, scatena la lettura con estremo interesse. Così nel finale di questo libro, quando l’autrice, Erika Fatland, riferisce a chi gli chiede che cosa potrebbe accadere nei paesi dell’Asia centrale, risponde con consapevolezza “ … non sono né abbastanza coraggiosa né abbastanza stupida da voler tentare una risposta. Ora come ora, potrebbe succedere di tutto”. Era il 2014.
Sovietistan, Erika Fatland. Un viaggio In Asia Centrale
Il libro che scrisse per le edizioni Marsilio, “Sovietistan, un viaggio in Asia Centrale” diciamo subito, è un libro di viaggio singolare, particolare. Per rendersi conto di quanto è possibile conoscere attraverso queste pagine, bisogna innanzitutto interpellare le citazioni e la bibliografia inserita al termine. Decine e decine di volumi, di cui solo un paio tradotti anche in italiano, pubblicati nel mondo letterario prevalentemente in Inglese basati su ricerche e informazioni di scrittori giornalisti, docenti universitari, testimoni oculari delle vicende. L’autrice racconta delicatamente, elegantemente il paesaggio, colora usi e consuetudini degli abitanti di ieri e di oggi, rivela la politica dura e corrotta, narra la Storia di cinque paesi (Turkmenistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) che segnavano un tempo la ricca Via della Seta e che ancora oggi sono attori di molte notizie e rivelazioni (prevalentemente di turisti). Tutto questo con le parole destinate a rimuovere antichi pregiudizi, orientate comunque a mettere in luce novità sociali e politiche, vecchie e nuove, conosciute e ignote. Notizie che l’autrice ricava da incontri con la gente o con le guide al suo fianco (misurando le parole per non mettere, se stessa ed altri, in difficoltà con il regime).
Si susseguono in lenta fila i ritratti di Paesi e degli uomini creatori della loro storia. A tutto ciò l’autrice aggiunge l’approfondimento con la sua professione di antropologa, di analista geopolitica. La descrizione di luoghi e fatti sembrano scene di film, precise e “colorate”. Così il viaggio diventa un racconto che si sviluppa per ambientazioni, con primi piani e campi lunghi, con chiaroscuri e colori, con dialoghi piacevoli e forzatamente “interrotti”. I siti percorsi e visitati si animano nella descrizione come personaggi viventi e la qualità verbale adottata è la stessa per il racconto con gli “ospiti” dei suoi incontri : spontaneità, apprezzamento e rispetto.
Sovietistan, Erika Fatland. Un viaggio In Asia Centrale
Pur non mancando qualche giudizio, mantiene professionalmente distinti i fatti dalle congetture. Sprona alla discussione l’intervistato aspirando alla sua “confessione” che a volte interpreta anche, non solo, attraverso segnali del viso. Ci troviamo dinnanzi ad un modo di scrivere particolare. Fatto di messaggi e idee che vengono dall’interno prorompenti da visioni nuove e uniche. “…per un attimo mi sento come se fossi l’unico essere umano sulla Terra”. Il lettore viene accompagnato a conoscere o approfondire le tragiche situazioni vissute dalle diverse etnie create dal sistema staliniano che mirava alla modernizzazione attraverso “…il lavoro abbastanza sodo”. Dove “…ciascuno di noi è tenuto a contribuire alla costruzione del nostro paese”. “L’essere russo non è una nazionalità, ma una mentalità, una condizione”. “L’unione Sovietica si è dissolta, e la sua ideologia portante è stata gettata nella pattumiera della storia.”
La Storia ha una importanza notevole in questo libro e viene narrata priva di nozionistica monotona. Spesso raccontata dal vivo da colloqui-interviste che svelano retroscene e inedite informazioni. La Storia narra le origini di popoli sconosciuti, di religioni antiche ancora praticate, di fatti e misfatti così tragici che nessuno vuol parlarne più e che tutti, anche noi moderni, abbiamo “desiderato” dimenticare e rimuovere. C’è anche una Unione Sovietica che, visitata curiosamente e con perspicacia dopo la disgregazione, appare nella sua vitalità e “modernità”, pur nei difetti e lacune.
Gli abitanti dell’Asia centrale non hanno mai vissuto isolati, ma attraverso i millenni hanno avuto a che fare con eserciti invasori provenienti da est e da ovest, da nord e da sud. Pochi hanno finito col fare della steppa la loro casa. L’antropologa scrittrice ci interroga: “Perché si viaggia? Perché ci si espone a tutte le noie che lo spostamento su grandi distanze e il soggiorno in paesi lontani e sconosciuti comportano? La mia teoria è che continuiamo a intraprendere nuovi viaggi perché la natura ci ha dotati di una memoria ingannevole e fallace. Una volta tornati sani e salvi a casa, le noie si trasformano in allegri aneddoti oppure finiscono nel dimenticatoio”.
Sovietistan, Erika Fatland. Un viaggio In Asia Centrale
Leggendo scoprirete pure:
“…a causa del clima micidiale il filo spinato si deteriorava e andava sostituito frequentemente per centinaia, anzi migliaia di chilometri, c’era da supporre che buona parte dell’industria metallurgica sovietica fosse destinata alla produzione di filo spinato. (R. Kapuscinski)
Semipalastininsk, il luogo ove si svolse uno dei capitoli più foschi della guerra fredda. In questo sito l’Unione Sovietica realizzò gran parte dei suoi esperimenti nucleari. Una bomba atomica al mese. Il fisico Sacharov nelle sue memorie scrisse: In uno di quei giorni mi ero casualmente dato un’occhiata allo specchio, ed ero rimasto stupefatto dai mutamenti avvenuti in me: il viso mi si era fatto grigio, ero invecchiato”. A tutt’oggi nessuno conosce i costi umani delle quattrocentocinquantasei esplosioni sperimentali effettuate dall’Unione Sovietiva in Kasakistan. E questo non è nulla rispetto al tutto.
A Mujnak esiste il cimitero delle navi sull' ex lago Aral. “La natura doveva obbedire ai comunisti, non viceversa!” “La gente non viveva più per sé, le si imponeva di consacrare la vita e soprattutto i muscoli alla costruzione dell’impero socialista”.
Museo del deserto a Nukus, Savickij e cultura karakalpaca. Ottantamila fra oggetti e opere collezionate e strappate alla distruzione, di tantissimi pittori dell’avanguardia raccolti dall’appassionato Savickij. Meriterebbe un Premio Nobel più che una menzione.
Sulle coltivazioni del cotone in Uzbekistan “in genere si irroravano tra i venti e venticinque chili di pesticidi tossici per ettaro, sette volte la quantità media usata in Unione Sovietica”. Eppure “le persone anziane vengono sopraffatte dalla nostalgia quando cominciano a parlare dell’Unione Sovietica”.
Khiva, “la vita all’interno delle mura non sembrava essere stata scalfita dal corso dei secoli”.
Tamerlano, Ulug Bek e il sestante di ottone; nel corso di settant’anni di governo sovietico l’Asia centrale è passata direttamente dal Medioevo al ventesimo secolo.
Bukkara, Samarcanda, Taskent le perle della via della seta. “In quel preciso istante capii che lo scopo di tutto quel lungo viaggio, di quei cinque mesi, era di starmene seduta esattamente lì, davanti al Ragistan al tramonto, al suono di una moderna musica pop uzbeka e cento passeri cinguettanti”.
Le sfumature e le forti tonalità delle etnie viventi e scomparse, nomadi e residenti, autoctoni o deportati, dagli idiomi cantilenanti e mai stati scritti.
Le storie di donne e uomini con le “cicatrici” delle guerre civili difficili da raccontare da chi le ha vissute, ma utili per capire. E i ricordi che escono da voci stentate e da visi sofferti, sono ovunque. Anche il paesaggio, le montagne, si fanno tristi nella descrizione. “Oggi non c’è nessun segno visibile della guerra, neanche un piccolo monumento, solo palazzi in stile sovietico ridipinti da poco, a perdita d’occhio”.
Le deportazioni degli Yaghnobi, forzatamente e villaggi spopolati, nessuna speranza di ritorno.
I matrimoni con la consuetudine crudele del "ratto della sposa" contro la sua volontà, ancora resiste. Da non credere. Vere pagine di importante letteratura. “Considerano il pianto una parte della tradizione e non capiscono che stanno male”.
La corruzione nelle pubbliche amministrazioni, con i retroscena singolari della famiglia del presidente dell’Uzbekistan.
Le grandi esperienze con gli uomini delle aquile e con i tedeschi del Rot Front.
La grande passione per i cavalli del presidente e dei sudditi del Turkmenistan.
E via e via per pagine e capitoli. Un libro che ci trascina in un approfondito e intrigante romanzo di popoli, animali e natura. E le 500 pagine di Erika Fatland, che volano via come aquiloni dei bambini, restano pietre miliari o macigni conficcati nella mente e nel cuore di ogni lettore.
Foto di Fernando Da Re protette da copyright