Moscoviade sembra il racconto di un pazzo invece è solo quello di un ubriaco, un ubriaco consapevole e intelligente, un racconto alla russa
per coloro che hanno conosciuto l’ambiente in epoca sovietica ma anche dopo, è un modo d’essere del russo. Riconosco lo squallore, la tristezza di certi ambienti come la stolovaja, la mensa pubblica, o quei luoghi dove vendevano la birra alla spina e i clienti si dovevano portare il contenitore, in genere un barattolo di vetro di conserva. La birra veniva servita da un piccolo sportello, e non si vedeva dove si trovava la spina. Il protagonista del racconto è un poeta ucraino che vive per studio a Mosca nella casa dello studente (obšežic’e), spesso un luogo squallido con tristi stanze disadorne e puzzolenti. In questi collegi promiscui vivevano una varietà di genti che colpiva. Quella era l’Unione Sovietica, un mosaico di nazionalità assortito. C’erano studenti dell’Asia Centrale: uzbeki, turkmeni, kazaki, vietnamiti, ucraini ed altri ancora. I vietnamiti si vestivano al Detskij Mir il negozio specializzato per bambini: dagli abiti ai giocattoli. Era ed è un enorme negozio di cinque piani in piazza Lubjanka. In epoca sovietica al centro del cerchio s’alzava la statua di Deržinskij (il fondatore del KGB) lui guardava la famigerata Lubjanka, la sede della polizia politica. Andruchovye ci comunica che a Mosca vivono un milione di ucraini cioè teoricamente al giorno d’oggi la seconda città dell’Ucraina.
In Russia la sbronza si smaltisce nel metrò, c’è infatti nei sotterranei un gran via vai di ubriachi. Nelle ore serali i vagoni si animano di quel popolo di ubriachi girovaghi senza meta, o forse con troppe mete. Le prime volte che andavo a Mosca mi impressionava vedere gli ubriachi ondeggiare, dei giovani gli offrivano il posto a sedere ma loro non si sedevano mai, sedersi voleva dire non essere più in grado di alzarsi. Le facce di alcuni alcolizzati erano piene di lividi e ferite: cadevano a terra all’improvviso come in letargo e spesso si ferivano. Ho visto uscire dal vagone alla stessa fermata due ubriachi ondeggiare l’uno verso l’altro quasi scontrandosi, faceva ridere, ma era tragico. In Russia nessuno bada agli ubriachi, in inverno però vengono soccorsi perché rischiano di morire assiderati. Alcuni familiari, in genere le mogli, vanno alla ricerca dei mariti e li riportano a casa tra liti furibonde e pestaggi, una tristezza infinita. Chissà forse in quel precario modo di vivere le fermate-salotti del metrò ispiravano loro psichedelici sogni fantastici. A quei tempi sul metrò del mattino c’era molta gente che leggeva, ora è diminuita anche grazie ai cellulari.
Tornando a “Moscoviade”, il protagonista del romanzo beve tanto perché gli amici lo invitano e lui non sa dire di no, così s’ubriaca con loro poi comincia a fare cose sconnesse, va sul metrò ed elenca tutte le fermate che fa per andare in un posto e poi in un altro, cazzeggia. Mi capitava di veder giovani ma anche anziani ubriachi girare sul metrò senza meta, era quasi gratuito e senza limite d’orario: s’incontrava una gran varietà umana. In Russia il lavoro era organizzato a turni, un turno poteva durare due, tre giorni, poi si riposava uno o due giorni, per questo c’era sempre molta gente in giro.
C’è un altro racconto di letteratura del fantastico imperniato sugli ubriachi sui mezzi di trasporto, quello di Venedikt Erofeev “Mosca-Petuškì”, dove petuškì è una fermata del treno periferico. Erofeev conosceva bene l’argomento vodka essendone anche lui un grande consumatore. Se parliamo di beoni o addirittura alcolizzati possiamo anche citare il famoso poeta del realismo sporco Charles Bukowski d’origine tedesca dal cognome polacco, ma di cultura americana il quale offre una versione del bere molto diversa da quella dei russi, le origini però in parte lo tradiscono. I russi sono animali notturni, di notte che si può bere senza troppe implicazioni, se a un tuo amico un po’ bevuto viene voglia di vederti non si fa alcun scrupolo e ti telefona, è la una, le due, non ha alcuna importanza, ti chiama e ti invita a bere ufficialmente un te a casa sua o da un amico con cui sta girovagando.
Quando si andava a teatro o al Bolšoj, gli spettacoli terminavano abbastanza presto poi si andava a mangiare da qualche parte, a volte al club dei musicisti, dove si mangiava meglio che ai ristoranti ufficiali, a quell’ora già chiusi. Quando si era con amici russi, con la mia amica Marilena, partecipavamo con piacere ed allegria alla cena, si beveva, noi moderatamente, poi a un certo punto decidevamo di andare al bagno e sparivamo. Noi il giorno dopo lavoravamo all’italiana. La mia amica russa Lidia passata la serata ci telefonava per chiedere che fine avevamo fatto. Lei viveva di piccoli traffici, come il cambio nero, o di inviti a cena da parte di uomini d’affare. A Mosca frequentavo un’altra amica di vecchia data Edoarda moglie di Demetrio Volcic c’eravamo conosciute sulle navi russe dove facevamo le interpreti tra l’equipaggio e gli italiani sulle ammiraglie Ivan Franko e Šota Rustaveli, due poeti ucraini. Eravamo ancora studenti, lei studiava russo all’Università di Milano, io alla Scuola Interpreti; da allora diventammo amiche. Edoarda sposò Demetrio Volcic, a quel tempo inviato della televisione da Praga. Quando suo marito fu mandato a Mosca e io lavoravo all’Olivetti, li andavo a trovare dopo il lavoro in pr. Mira, la loro casa ma anche la sede della tivù. A volte da loro c’era un ospite speciale: Giuliano Gramsci. Conoscerlo per me fu cosa grande. Faceva il musicista, l’accompagnavo a casa con il taxi e proseguivo per l’hotel Metropol sede dell’Olivetti: le ditte straniere non potevano avere uffici privati. Che tempi…difficili, ma pieni d’umanità. (testi e foto di Gabriella Pittari) Leggi anche A Mosca! A Mosca! in viaggio con lo scrittore Paolo Nori
Moscoviade è il secondo romanzo di Jurij Andruchovycscrittore ucraino nato nel 1960 a Ivano-Frankivs'k, pittoresca cittadina dell'Ucraina occidentale ai piedi dei Carpazi.