Polinesia: un mito
La Polinesia è una gran quantità di isole ricamate qua e là sulla superficie di un tappeto d’acqua turchese.
“Un'isola calda come la tenerezza
speranzosa come un deserto
che carezza con nuvole di piume” .(Jacques Brel)
La Polinesia è una gran quantità di isole ricamate qua e là sulla superficie di un tappeto d’acqua turchese steso in mezzo all’oceano Pacifico, raccolte dentro un enorme triangolo marino, con al centro Raiatea, l’isola sacra, dove si ritirano le anime dei morti. Le genti che popolarono le isole giungevano da altre isole molto lontane: Micronesia orientale (Indonesia, Filippine) e Melanesia (Papua, Nuova Guinea). Erano una gran quantità di uomini e donne imbarcati tutti insieme su stupefacenti imbarcazioni a bilanciere. I loro primi amici furono i venti e l’ignoto; poi lo divennero le correnti marine, che loro seguirono pieni di speranza e di fiducia. La Polinesia è la dimostrazione “vivente” di quanto l’uomo sia stato e sempre sarà esploratore, assetato di conoscenza anche a rischio della vita. Le migrazioni erano cominciate nel IV millennio a.C. e furono tantissime del corso dei secoli, fu così che per i polinesiani il mare diventò la loro “terra”. Le isole che andavano popolando erano piccoli gioielli vulcanici, sculture nere ricoperte di fitta vegetazione dalle diverse sfumature di verdi intensi e luminosi, spesso lucidi di pioggia. Durante le lunghe giornate di navigazione quegli uomini e quelle donne si facevano domande sulla vita, sulla morte dando origine a favolose leggende sulla creazione. Raccontano che il cielo Ranginui giaceva in eterno abbraccio con la terra Papatuanuku procreando molti figli, ma impedivano loro di venire alla luce. I figli si ribellarono e con gran fatica separarono il cielo dalla terra, per questo all’orizzonte le nubi sembrano incollate a terra. Piove spesso: éil dio cielo che piange l’Amore perduto.
Le isole polinesiane sono un mondo umido dove crescono fiori succosi e piante carnali, come gli abitanti che vivono in simbiosi con gli umori della terra e del mare, luoghi dove si viveva senza affanni in armonia con la natura. La vita però non era sempre idilliaca, si spostavano anche a causa delle guerre causate dall’aumento della popolazione che li costringeva a prendere il largo. Il loro pantheon era popolato di tiki, le statue dei mitici antenati, che onoravano con sacrifici di fanciulli immolati su altari chiamati marae. Oro era il dio della guerra che proteggeva i guerrieri. Hiro vegliava sui pescatori e teneva riunite le piroghe quando erano costretti a spostarsi. Anche il ballo era l’essenza della loro vita quotidiana, era il respiro del corpo. Arrivarono gli stranieri, gli inglesi e i francesi, uscite dall’isolamento le isole cominciarono a perdere le loro caratteristiche di bellezza esclusiva e di spensieratezza, cominciarono a perdere l’ebbrezza dell’indipendenza, della felicità. I nuovi riti delle religioni "straniere" diventarono i loro, ma i polinesiani continuano a guardare al passato con immenso rispetto.
Per gli occidentali la Polinesia diventò un mito lontano, la terra felice dall’estate perenne, un modo di vivere fuori del nostro tempo, senza le stagioni. Cominciarono i viaggi alla scoperta di quelle isole dalla bellezza paradisiaca, dagli scorci di mare turchesi striati di cobalto sfumati di rosa, incupiti dagli sfondi di montagne vulcaniche, solcate dagli arcobaleni. Lontano dalla spiaggia quasi all'orizzonte il mare spumeggia: è la barriera corallina quella protezione invisibile sotto il pelo dell'acqua che divide il mare "basso" a difesa delle isole, dal mare sconosciuto e pericoloso oltre la “muraglia”. I primi a conoscere le isole ammirarono la bellezza delle vahiné, le donne dalla pelle dorata, dai lunghi capelli neri curati con il monoi, il latte di cocco mischiato all’essenza di tiaré, il fiore nazionale, dal profumo inebriante, sensuale, bianco puro. Le donne portano sempre un fiore nei capelli incuranti dell'età anagrafica e dei cambiamenti fisici. Con il tiarée, con gli ibisco colorati, si ornano uomini e donne.
La natura è la generosa madre dei polinesiani, fornisce loro banane rosse, cocco, manghi ed altri frutti tropicali. Il mare porta sulle loro tavole splendidi pesci dalle carni saporite che spesso cucinano con il latte di cocco. Tutte queste meraviglie ora sono accessibili, sono diventate il lusso di ricchi turisti, di sposi in viaggio di nozze che da tutto il mondo vengono a conoscere i luoghi che ispirarono Gauguin che diventarono il mitico mondo della Balena Bianca di Melville, l’Isola del tesoro di Stevenson che riuscì ad allungare la sua fragile vita passando in Polinesia i suoi ultimi anni. Ora dall’alto della collina di Upolu dove é sepolto insieme alla sua Fanny, ammira per sempre il panorama cangiante della splendida Samoa.
(testi e foto di Gabriella Pittari)