Le carovane che venivano da oriente portavano le spezie dallo Yemen, paese delle mille e una notte, quel numero imperfetto che dà il senso dell’imprecisione e della continuità, perché solo Dio è perfetto e il tempo è infinito. Quelle ed altre carovane provenienti da occidente
s’incontravano nella città oasi di Palmira. La meta ad occidente era il Mediterraneo. A Palmira s’arrivava verso l’imbrunire dopo una giornata di marcia nel deserto che rendeva tutto velato di impalpabile sabbia rossa, ma già da lontano si materializzava il colonnato interrotto da arcate che i viandanti percorrevano consapevoli di essere arrivati dove l’oriente raffinato e ricco, s’incontrava con un’occidente conquistatore che aveva fuso in una città desertica la capacità umana di creare bellezza. I mercanti finalmente si riposavano, sistemati gli animali per la notte dopo qualche chiacchiera sugli avvenimenti più importanti si preparavano per il meritato sonno, non prima di aver rivolto gli occhi al cielo pieno di stelle di cui loro distinguevano bene le costellazioni che li guidavano da un punto all’altro dell’Asia, fino alle coste del Mediterraneo.
Come il Pastore errante dell’Asia di leopardiana memoria si domandavano prima di pregare il loro Dio: “che fai tu luna in ciel, dimmi che fai? All’alba con la luna ancora in cielo partivano attraversando i colonnati i cui capitelli mostravano i gigli del deserto che loro conoscevano bene, li vedevano sbocciare improvvisi nel deserto quando una pioggia inaspettata sferzava la terra. Sui capitelli i loro gigli convivevano con le foglie d’acanto dei capitelli corinzi.
La planimetria di Palmira ripete la pianta degli accampamenti militari romani dove le due vie s’intersecano a croce e conducono alle porte di una cinta di fortificazione. Apollodoro di Damasco, che era stato a Roma, aveva progettato i due originali colonnati che fiancheggiano l’arteria trasversale e si combinavano con la scacchiera delle vie secondarie di tradizione ellenistica. L’agorà quadrata era circondata da portici. Alcuni Templi erano santuari indigeni dedicati alle divinità semitiche. Il tempio di Bel fulcro religioso della città consacrato nel 32 d.C. sorgeva quasi intatto dopo il restauro. E’stato minato dai membri dell’Isis: ma non era né cristiano, né islamico, era solo un magnifico reperto archeologico.
Noi pellegrini del XXI secolo abbiamo ripercorso quei sentieri desertici per giungere alla città dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, mai abbandonata dall’archeologo Khaled al-Asaad che per difenderla fu ucciso dai ribelli del Daesh. Per vedere tutta la città nel suo insieme si sale sulla cittadella araba costruita su un tell artificiale, costruzione di fascino indiscutibile. Attorno alla base della collina sorgono alcune torri funerarie di tradizione semitica delle famiglie palmireni arricchitesi con gli introiti delle carovane. L’oasi di palme è racchiusa in una cinta di fango dove si entra nel fresco delle fragranze erbose. La città dal palmeto sembra un’apparizione incorniciata dalle lunghe foglie delle palme che ondeggiano come le dune di sabbia del deserto.
Palmira è città-oasi molto antica, le sue origini risalgono a 3000 anni a.C. all’epoca babilonese quando si chiamava Tadmur, nome che conserva insieme a Palmira. La sua massima fioritura avvenne nei secoli II e III della nostra era quando i romani la conquistarono facendone una città importante. Tutto cominciò con Marcantonio, fino a Tiberio, seguì Adriano che la battezzò Palmira, la governò Caracalla fino a Valeriano, tutti ebbero filo da torcere soprattutto quando salì al trono la regina Zenobia che si dichiarava discendente di Cleopatra. Suo padre Odenato ebbe rapporti tranquilli con i romani, lei invece sottomise la Siria, l’Anatolia, il Basso Egitto. Aureliano però la sconfisse e la portò a Roma, si dice, in catene d’oro in segno di rispetto. Dopo averla umiliata di fronte al popolo le assegno una villa a Tivoli dove passò tutto il resto della sua vita. Rossini dedicò un’opera alla città “Aureliano in Palmira” e a quanto pare anche Albinoni scrisse una musica intitolata “Zenobia Regina Palmira Num”. Immaginiamo che nel teatro della città si tenessero spettacoli e intrattenimenti musicali. La musica e gli spettacoli dovevano essere molto diffusi a giudicare dagli splendidi teatri sparsi su tutto il territorio della Siria.