Yemen deserto Rub al Kalhi
In un Paese che è stato così importante per la storia, di una bellezza fiabesca, che ora al posto dei preziosi alberi donatori di resine e degli alberi da frutta, dominano i campi d’addestramento di guerrafondai, un vero peccato, e soprattutto un gran dispiacere.
Siamo soli in questi orizzonti fluttuanti, davanti ad un mare solido ed effimero, dove le onde sono le ombre di se stesse. Quando, superata una striscia di dune, l’orizzonte diventa piatto da tutti i lati, ecco che si materializza, dietro quell’orizzonte, una fascia di montagne celesti che diventano sempre più alte, man mano che ci s’avvicina. Dopo Shabwa ci s’immerge in un altro mare di sabbia dal quale, qua e là, affiorano isolotti di lava nera, come nei giardini giapponesi creati per la meditazione; basterebbe lasciare la jeep ai bordi della pista e abbandonarsi ai propri pensieri con lo sguardo che liberamente fluttua come il calore che emana la terra, sulle sfumature rosso gialle della sabbia che cangia secondo la luce. Lasciato il deserto, si torna sulla strada asfaltata, ma l’incanto non è finito, continua in modo diverso. Sulla sinistra si susseguono come in un filmato dal vivo, una serie di Jebel (montagne), sulla destra, come in un documentario, si passano alcuni villaggi turriti: è come superare le fiabe da dentro, sono fatti di sabbia e ciottoli di fiumi scomparsi (wadi), a volte sembrano castelli fatti dai bambini sulla riva del mare, pronti a sciogliersi al caldo sole d’oriente, oppure sono stati trasferiti qui dal mare con un transfer onirico per conservare più a lungo il ricordo di una fiaba, per poi scomparire lasciando a terra solo un mucchio di sabbia. Questo è il Rub-al-Khalì, il Quarto Vuoto, o il Quartiere Vuoto, dipende dalle interpretazioni del termine. E’ il deserto biblico, dove la regina di Saba, che gli arabi chiamano Bilkish, aveva organizzato il suo commercio delle spezie e, per ricavare migliori profitti, si era accordata con il re Salomone d’Israele per dividere gli introiti della via commerciale più importante dell’antichità: la via delle spezie. A Shabwa, in pieno deserto, avveniva la vendita dell’incenso e della mirra, i due principali prodotti di scambio. Due spezie essenziali, l’incenso serviva per coprire i cattivi odori ed era lenitivo e disinfettante dell’ambiente, la mirra serviva agli egiziani per le imbalsamazioni ed era una medicina che aiutava le donne dopo il parto e non solo. Plinio il Vecchio ci racconta come avveniva la transazione. La merce era considerata sacra, perciò i venditori, famiglie che si occupavano solo di questo, sedevano a terra in un padiglione ed esponevano su dei teli la merce con il prezzo. L’acquirente sceglieva quelle preziose resine e metteva i soldi al loro posto, data la sacralità del prodotto, la transazione avveniva in completo silenzio. La via partiva dalla costa del mare, dove si trovano le città Al Mukalla, Bir Alì, Qana, forse la Qana biblica. Posti incantevoli che odorano di spezie, dagli intensi colori, domina il blu, ristoratori per chi arriva dal deserto e vorrebbe immergersi in quel mare per trasformarsi nel pesce di qualche favola non ancora raccontata. In Un Paese che è stato così importante per la storia, di una bellezza fiabesca, che ora al posto dei preziosi alberi donatori di resine e degli alberi da frutta, dominano i campi d’addestramento di guerrafondai, un vero peccato, e soprattutto un gran dispiacere. (Testi e foto di Gabriella Pittari)