Pantelleria, l'isola nera

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Pantelleria mi ha preso alla sprovvista e mi ha conquistato. 

 

Poche volte mi era capitato di partire impreparato per una vacanza in un luogo lontano e sconosciuto. Questa volta, complici i lavori di ripristino della casa dopo la fine dei lavori di consolidamento antisismico, mi sono affidato totalmente alle donne del gruppo. Inutile negarlo, la prima sensazione è stata quella di essere arrivati all'estero. Il piccolo aeroporto ricavato da uno dei pochi pianori dell'isola, ci accoglie già con un'aria ben diversa da quella padana. Siamo, geograficamente, in Africa e le costruzioni tipiche dell'isola, di chiara impronta araba, aumentano la convinzione. Ma dura poco. Basta arrivare al bar per la colazione e subito ti accorgi di essere in una terra prepotentemente siciliana.

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Siamo arrivati poco dopo l'alba, con meno di un'ora e mezza di volo da Verona e con tanto sonno arretrato. Cappuccino e cornetto ci danno la giusta carica e ci riportano in piena e rassicurante terra italiana. Verso le nove ci incontriamo con Manuel, l'uomo di fiducia della proprietaria del “dammuso” dalla quale l'abbiamo affittato. Il dammuso, in realtà ha solo una vaga somiglianza con i dammusi tradizionali in pietra e con il tetto a cupola (di origine araba) che caratterizzano la campagna pantesca. Questa è una bella e ampia villa (siamo in tre coppie) con accesso diretto al mare. E anche Manuel, in realtà, ha tutta l'apparenza di essere un pantesco immigrato dall'Est Europa.

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L'importante è che siamo in un luogo incantevole e che dall'ampio terrazzo, sul quale consumiamo regolarmente i pasti, possiamo assistere allo spettacolo delle onde che carezzano o sberlano la costa e del sole che tramonta scenograficamente nel mare.

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In ogni caso, la nostra spiaggia privata è una distesa di scogli ruvidi e appuntiti. L'acqua è azzurra e limpida, ma per metterci dentro i piedi, debitamente protetti dalle scarpette di gomma, bisogna affrontare un periglioso percorso ad ostacoli, per poi nuotare o galleggiare per qualche metro negli stretti fiordi di roccia nera vulcanica. Scopriremo ben presto che in tutta l'isola non esiste un solo metro quadrato di spiaggia sabbiosa o con sassi regolari.E va bene così. Se avessimo voluto andare una settimana al mare per abbronzarci e fare il bagno in acque tranquille avremmo trovato mille altri posti belli lungo le coste italiane.

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Pantelleria offre qualcosa di diverso.

Pur nella sua asprezza, è stato un punto di appoggio per molte civiltà mediterranee nel corso dei secoli: nella preistoria era conosciuta in tutto il mediterraneo per le sue cave di ossidiana, una nera roccia vulcanica simile al vetro, con cui si fabbricavano armi molto taglienti. Ancor oggi con questa roccia si fabbricano alcuni bisturi. Il villaggio di Mursia, molto vicino alla casa in cui eravamo ospitati, aveva una cinta muraria, costruita con pietre posate a secco, della lunghezza di circa trecento metri, alte circa otto metri e spesse altrettanto.

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In epoca storica venne prima colonizzata dai Fenici, poi dai Cartaginesi, dai Romani, dai Bizantini, dagli Arabi e successivamente seguì le sorti della Sicilia. Il porto del capoluogo è dominato dall'imponente castello Barbacane, di origine normanna. Sono stati sicuramente gli Arabi a lasciare l'impronta più duratura che si vede soprattutto nei dammusi, le tipiche abitazioni rurali, e si sente nella lingua, soprattutto nei nomi delle località.

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A dire il vero, noi abbiamo un po' trascurato l'aspetto archeologico (in una settimana non si può fare tutto...) a favore della scoperta paesaggistica. Così, oltre ad aver girato gran parte delle strade dell'isola con la vecchia multipla noleggiata all'aeroporto, abbiamo fatto il giro completo in barca, che è il modo migliore per gustare il mare pantesco, vedendo autentiche meraviglie della natura e facendo il bagno in acque più limpide e più azzurre dei mari caraibici. Se, poi lo fate con il pazzo proprietario delle motonavi Futura, Franco, potrete anche gustare una splendida e abbondante pasta al pesto pantesco e sorbirvi le esibizioni del capitano (s)vestito con costumi esotici vicini allo stile adamitico.

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Ancora più interessanti si sono rivelate le tre passeggiate nei sentieri dell'interno, che ci hanno portato a fare il bagno nel laghetto termale Specchio di Venere, a vistare il museo vulcanologico e il laghetto delle Ondine (un po' deludente) e a fare un discreto trekking sotto la Montagna Grande. Quest'ultima passeggiata ci ha consentito di camminare a lungo tra vigneti, uliveti e coltivazioni di capperi nella Valle di Monastero, per poi salire in quota e incontrare dapprima le fumarole di Favare e poi, per un sentiero panoramico in mezzo alle rocce vulcaniche, a fare una breve ma gradevolissima sauna nella grotta detta Bagno secco di Benikulà.

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Un'ultima nota di rilievo va fatta sul cibo ed è scontatamente positiva. La cucina pantesca è irrimediabilmente mediterranea, italiana e siciliana, con alcune peculiarità, dovute ai prodotti principi dell'isola: i capperi e il vino. Sono elementi semplici ma dal gusto inconfondibile. I capperi sanno di capperi e il vino sa di uva, sia nella variante da tavola che in forma di passito, che meriterebbe la protezione dell'Unesco, sia per il gusto unico che per la fatica che i generosi e accoglienti contadini isolani (sempre pronti a regalarvi grappoli di dolcissimo zibibbo, purché ve l'andiate a raccogliere personalmente) si sobbarcano per coltivare le viti e raccoglierne i frutti.

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A Pantelleria tutto è basso, ulivi, viti, arbusti e bisogna chinare la schiena per coglierne i frutti.

Solo le rocce sono alte e forti.

Non andateci se amate il mare facile.

Ma non saprete cosa vi perdete.

(testi e foto di Giuseppe Merlin) in questo sito altri racconti di viaggio filosofia del viaggio

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