Non lontana da Roma (50 Km scarsi) si trova una località non molto conosciuta se non fosse che il suo più illustre cittadino l’ha immortalata (seguendo le usanze dell’epoca) nel suo nome: Giovanni Pierluigi da Palestrina
compositore del Rinascimento italiano, musicista di prim’ordine. L’antica città di Preneste, come ci racconta Tito Livio, ma anche, Ovidio, Plutarco ed altri ancora, sarebbe stata fondata da Telegono figlio di Ulisse e della maga Circe, che seguendo la profezia fondò la città dove incontrò dei contadini che danzavano con il capo coronato da foglie di elce. L’etimologia di Preneste deriverebbe dal greco “prinos” l’elce o leccio di cui era ricca la zona. Esistono però altre ipotesi. Virgilio e Catone ci raccontano un’altra storia che vede il figlio di Vulcano Ceculo stabilitosi con una folla di sbandati sul monte Ginestro per fondare una città. Le origini del sito chiamato Prenestre, abitato da prisci latini, risalirebbero al II millennio a.C. La località fu in seguito integrata e assimilata in epoca storica da popolazioni greco-orientali del Mediterraneo che ne influenzarono la cultura e l’arte. La dea Fortuna era dea della fecondità, già nel II sec a.C. doveva essere avvenuto il sincretismo con l’Iside egizia.
Quando s’arriva sul viale d’accesso alla città tutte le storie mitologiche e non, diventano lo sfondo di una località assolutamente magica: una vista inimmaginabile che lascia sbalorditi. Un enorme tempio dedicato alla dea della Fortuna Primigenia custodisce al suo interno e sui fianchi un’intera città. Questo é stato possibile “grazie” ai bombardamenti alleati del 1944 che distruggendo parte dell’abitato cresciuto camuffando il santuario, ne ha messo a nudo l’enorme tempio che nascondeva. Ora la città circonda il santuario come per difenderlo da ulteriori offese. L’abitato é omogeneo e armonioso.
E’ un piacere percorrere le strade del borgo che degradano verso l’alto in un intricato reticolo. L’ascesa avviene zigzagando lungo i sentieri. Il tempio svela viste che cambiano da una terrazza all’altra ognuna delle quali racchiude segreti che si svelano di volta in volta. La via principale é segnalata dal campanile del duomo dedicato a Sant’Agapito patrono cittadino. Una bella chiesa costruita sui resti del tempio pagano. Preneste fu costretta al cristianesimo con l’editto di Costantino del 313 e divenne sede vescovile senza troppa convinzione, tanto che continuò il culto della dea Fortuna stroncato definitivamente da Teodosio. La città fu al centro delle lotte tempestose per il potere del papato e delle famiglie nobili romane dei Colonna e dei Barberini. Solo la caparbia volontà di autonomia e libertà dei prenestini la ricostruì ogni volta.
Le case e le chiese cominciarono a riempire gli spazi del tempio in abbandono e con materiali di riporto. Restano tracce delle cisterne dove avvenivano i vaticini: l’acqua sicuramente costituiva un elemento essenziale. Cicerone ci racconta che un cittadino di Preneste indotto da un sogno ricorrente scavando in un punto della roccia trovò le sortes, lettere di legno che davano agli uomini i responsi. Saliamo i gradini che portano alla porta del sole, ingresso delle mura medievali. Man mano che si sale il paesaggio circostante diventa strepitoso. Alla quinta terrazza vediamo i resti delle arcate che erano un’alternanza di portali di archi trionfali. Al sesto terrazzamento si trovava un lungo porticato colonnato. Più sopra il semicerchio (l’esedra) é la cavea del teatro diventata la scalinata d’accesso al magnifico palazzo Colonna-Barberini datato 1640, ora museo archeologico assolutamente da visitare. I reperti archeologici sono quanto di più interessante e bello si possa vedere nelle sue sale. Statue della dea Fortuna e non solo, manufatti e gioielli di squisita lavorazione rinvenuti nelle tombe principesche da cui si deduce l’influenza greco-orientale. Nel IV e III sec. a.C. Preneste era un importante centro per la produzione di oggetti di lusso in bronzo tra cui specchi tondi e ovali con la parte opaca cesellata con scene mitologiche di raffinata fattura.
Il museo conserva un reperto di bellezza inestimabile un mosaico unico al mondo che rappresenta il Nilo. Secondo gli studiosi risale all’80 a.C. Mostra l’Egitto con sguardo romano, é una carta geografica del paese e allo stesso tempo un trattato di storia naturale. Fu ritrovato dove ora sorge la cattedrale. Guardando dall’alto il mosaico si vedono le montagne dell’Etiopia, al centro il tempio di Ammone nella città di Tebe, in basso il delta del Nilo e Menphis. L’Egitto presenta i suoi animali “esotici” nominati con le scritte in greco, la lingua franca del Mediterraneo.
Fantastiche le diverse imbarcazioni sul fiume, gli uccelli sparsi sulle rocce, le persone che si rilassano sotto tettoie intrecciate di giunchi, una scena vacanziera realistica, un’allegra scampagnata. Ci sono soldati romani con elmi e scudi in relax sotto un tempietto sospeso sull’acqua. Forse sorvegliano i neri che si vedono in lontananza con archi e frecce mentre catturano gli animali per il divertimento dell’élite romana. Il mosaico é un capolavoro imperdibile, che da solo varrebbe una visita alla splendida Palestrina. Peccato che i fratelli Thomas ed Heinrich Mann che soggiornarono due estati a Palestrina negli anni 1897-1898 non ebbero la fortuna di vedere il santuario ancora occultato, in compenso si dedicarono alla scrittura, Thomas scrisse il “Doctor Faustus”, suo fratello un romanzo “La piccola città”, un ritratto della vita di provincia a Palestrina piuttosto sarcastico e cattivo.