rievocazione storica della battaglia di castagnaro
Oltre 20 Compagnie di rievocatori accorreranno da ogni parte d’Italia per ricordare questo grande scontro che coinvolse nel 1387 quasi 40.000 soldati. Programma.
Come si svolse il combattimento.
Siamo nel 1386. Dopo varie scaramucce tra veronesi e padovani, questi ultimi, gettato un ponte tra Castelbaldo e Castagnaro, entrarono in territorio veronese seminando morte e distruzione. Giunsero fin quasi sotto Verona ma furono allontanati e scacciati verso Bussolengo. Qui rimasero assediati per circa 45 giorni finché riuscirono a ripiegare su Cerea mentre Ostasio da Polenta cui Antonio della Scala aveva affidato il comando dell’esercito scaligero e Giovanni degli Ordelaffi, appostati nei pressi dell'Adige, si preparavano per una battaglia che ponesse fine alla presenza padovana nel territorio. Il condottiero padovano con i suoi uomini, giunse a Castagnaro, quasi di fronte al castello di Castelbaldo, dove aveva ammassato numerosi vettovagliamenti, e qui si accampò cercando di temporeggiare e di guadagnare tempo. Le milizie carraresi erano appostate tra l'argine dell'Adige a Nord, la bocca della fossa del Castagnaro (allora chiamata solo fossa e non canale Castagnaro perché ingrandito solo nel 1438) ad Est Sud Est, a Ovest il canale Dugale, da dove si attendeva l'attacco scaligero, e la palude a Sud. Il panorama che si presentava era quello di una pianura fangosa e acquitrinosa ai confini del territorio di Verona, Padova e Rovigo; un terreno caratterizzato da palude, campi, argini, fiumi e, al centro, un grande campo trincerato, la cosiddetta "bastia", nella quale l'esercito padovano si era barricato in attesa del nemico. Secondo alcune ricostruzioni storiche avvalorate da un narratore dell’epoca al seguito dei padovani, si pensa invece che il campo di battaglia fosse spostato più ad Ovest nei pressi del paese di Villa d’Adige proprio di fronte a Castelbaldo, allora territorio di Castagnaro ma oggi in provincia di Rovigo o forse verso Giacciano con Baruchella dove ancora oggi esiste una fossa che divide in due la zona. Antonio della Scala, raccolti a consiglio i suoi comandanti, decise che era giunto il momento di preparare lo scontro. Sotto il profilo tecnologico-strategico, la battaglia di Castagnaro mise in luce grosse innovazioni. Apparvero per la prima volta alcune armi segrete come tre carrette armate di bombardelle a tiro simultaneo, a tre piani sovrapposti, con 48 bocche da fuoco in ogni piano, per un totale di 144 bombarde complessive in ciascun carro. I carri erano trainati da buoi e venivano disposti in un certo punto del campo di battaglia, protetti da un gruppo di fanti scelti. Lungo l'Adige incrociavano anche barche munite di bombarde che dovevano bloccare un'eventuale ritirata dei padovani attraverso il fiume. In campo erano presenti, inoltre, 12 cavalli con serventi muniti di lanciafiamme, tubi in ferro che, prima dello scontro, venivano riempiti di materiale combustibile per gettare fuoco e cospargere di fiamme tutta la zona circostante e dei carri di guastatori. Alle prime ore dell'11 marzo del 1387 Giovanni degli Ordelaffi, capitano generale dell'esercito scaligero, iniziò ad avanzare nella campagna di Castagnaro al comando di 12 agguerritissimi squadroni. Il numero complessivo dei combattenti non è facilmente quantificabile anche se tutti concordano che a fronteggiarsi furono due grandi eserciti. Lo storico Maurizio Conconi indicò in 38.500 gli armati suddivisi in: 9.400 cavalli, 16.000 fanti, 1.000 pavesai e 1.600 balestrieri, nelle file scaligere (28.000 soldati in tutto); 9.500 effettivi tra gente a cavallo e con l'arco e tre schiere di 1.000 fanti, nelle file padovane (10.500 uomini in tutto), numero condiviso anche dallo storico Giuseppe de Stefani. I veronesi disponevano di 12 squadroni mentre i carraresi schieravano 8 squadre di cavalleria. La battaglia vide un lungo scontro frontale delle cavallerie divise in schiere di consistenza pressoché pari, secondo l'usanza dell'epoca, e comandate dai capitani più illustri dei due schieramenti. La bandiera principale era tenuta al riparo per evitare che cadesse in mano agli avversari. I veronesi contavano sul fior fiore dell'aristocrazia, che in forze aveva voluto partecipare allo scontro. I soldati agli ordini dell'Ordelaffi, smontati dai cavalli, si precipitarono verso la fossa per conquistarla e si trovarono di fronte tre schiere carraresi. Un assalto violento, ma anche una tenace resistenza. L'esercito padovano, infatti, aveva disposto al primo posto 500 cavalieri e, soprattutto, 600 arcieri inglesi alle dirette dipendenze di Giovanni Acuto. La lotta infuriava sempre più presso la schiera capitanata da Francesco Novello e tutto sembrava volgere a favore dei veronesi. Ma dei soldati padovani, che erano riusciti a frenare l'impeto degli scaligeri, corsero in aiuto del figlio del Signore di Padova. Gli scaligeri si diressero verso la fossa per oltrepassarla e incunearsi nelle file nemiche ma Giovanni Acuto decise a questo punto, di effettuare una mossa a sorpresa aggirando i soldati nemici, presentandosi alle spalle degli scaligeri e di fianco alla schiera della General Bandiera. Il comandante scaligero si vide perso. Con il grosso degli uomini era riuscito ad oltrepassare la fossa ma stendardi e bandiere erano rimasti dall'altra parte. Le insegne dei della Scala vennero atterrate ed il capitano scaligero trovò la strada sbarrata dai nemici. Cercò una strenue difesa con 200 uomini, ma venne catturato. Un gruppo di 4.000 soldati veronesi si asserragliò su di un rilievo in mezzo alla pianura fangosa tentando una strenue difesa ma molti morirono altri vennero fatti prigionieri, altri ancora annegarono nelle vorticose acque dell'Adige tentando si mettersi in salvo. Tutto era finito, e sul campo di battaglia calò un silenzio di morte. Nel conflitto scomparve la più bella gioventù di Verona, in parte uccisa e in parte fatta prigioniera dai padovani. Sul terreno rimasero 2.500 morti, secondo alcuni storici, secondo altri tra i 700 e i 750. (Testi e foto di Francesco Occhi)
La battaglia dell’11 Marzo 1387 fu senza dubbio innovativa e di essa i cronisti dell’epoca ne parlarono molto. Ecco quindi l’importanza di raccontarla e di riviverla.