Dalla mia guida dedicata alla Russia Europea, della casa editrice Polaris, ho estratto per voi una pagina dedicata ai ricordi
che ho chiamato ”Pagine di ricordi”. Partendo dalla Jaroslavskij Vogzal di Mosca si può prendere un treno “firmato” di nome Malakhit, cioè malachite. Questo treno è diretto a Nižnyj Udinsk sugli Urali, dove si estrae la preziosa pietra dura da cui prende il nome, la malachite.
“E’ inverno e tutti i rumori sono attenuati dalla neve che ovatta di bianco ogni cosa. Nonostante questo, il treno si avvia tra scossoni e sbuffi rumorosi, per immergersi quasi subito nei boschi di betulle e larici. Gli alberi sono di cristallo, con i tronchi lunghi e dritti, solo in cima si allarga un ciuffo di rami su cui si sono formati contorni di neve che li rendono luminosi e brillanti. Il paesaggio è monotono, ma non è chiaro il motivo per cui sia così piacevole guardarlo scorrere dal finestrino come su un rullo che passa e ripassa, simile a un film da studio. Ogni tanto la spianata di neve bianca e uniforme è interrotta dal vuoto delle case coperte di neve. Tutto il paesaggio è basso e orizzontale, tagliato dai tronchi degli alberi che svettano verso un cielo plumbeo. Non smette di nevicare. Nel vagone del treno c’è un gran caldo. Dopo due ore il treno rallenta la già lenta marcia e si ferma in una località imprecisata che appartiene all’infinito, in uno spazio senza tempo. Quando riprende il suo cammino si susseguono villaggetti di izby scanditi da boschi. Sono passate parecchie ore, è già pomeriggio, quando un paesaggio collinare riesce a smuovere l’infinità dei boschi. Dove la spianata è priva d’alberi, la neve è immacolata, nessuno osa toccare quel candore, neppure un corvo. I villaggi riprendono il loro posto sul rullo che scorre, solo le palizzate di legno, quasi sempre verdi, creano delle geometrie attorno alle casette colorate. Dopo poco il treno attraversa una tempesta di neve. Questo non era previsto sul rullo, ed è fantastico. Sui vetri del finestrino si forma un alone di ghiaccio, mentre fuori un vento forte fa svolazzare disordinatamente gli aghi di neve contro i fianchi dei vagoni che oscillano sui binari in movimenti d’anca, come fossero ballerine di un teatro irreale. I villaggi ora sembrano apparizioni. Credo che nessuno osi avventurarsi sotto questi fiocchi che pungono il volto come aghi. Solo viaggiando per ore e ore in questo lattiginoso biancore si riesce a percepire l’immensità di questo Paese. Unico ostacolo sono i bianchi orizzonti sistemati lì per non cadere dall’altra parte della terra. Sono sola e leggo, ma il paesaggio, sempre uguale, il ritmo del treno, sempre monotono, riescono nonostante tutto a distrarmi continuamente. Ora anche il cielo è bianco. L’orizzonte è sottolineato dalla riga nera dei tronchi di alberi, così fitti da creare una barriera. Tutto questo biancore conserva una luce riflessa che le giornate corte dell’inverno non potrebbero darci. Ogni tanto un albero in controluce mette a nudo grandi nidi di cornacchie. Sono le 16,30 quando il treno scivola lentamente sui binari della stazione di Vladimir. Gli scossoni del treno di lusso fanno sobbalzare i poveri cristiani. Dal finestrino si intravedono le cupole d’oro delle preziose chiese di Vladimir: severe sulla collina dominano un’orribile complesso ferroviario che per fortuna non si vede dalle chiese. Sono solo le 17:00 quando in cielo si spegne la luce, lasciando il finestrino nero. Il rullo ha smesso di scorrere, o forse scorre ancora ma noi non lo vediamo più. Passeranno altre ore, si potrà fare uno spuntino al ristorante del treno, si dormirà nella notte nera e infine si arriverà a destinazione: la città di Ekaterinburg”.
Molti viaggiatori hanno parlato del loro viaggio in Transiberiana. Io consiglio di leggere due volumetti fantastici e brevi, capaci di dire molto in pagine dense:
- Victor Pelevin “La freccia gialla”, scrittore noto e molto considerato nel suo paese;
- Andrej Makine “La musica di una vita”, scrittore diventato francese, che come succede in particolare ai russi, non può dimenticare la sua Russia, perciò ne parla con accorata nostalgia. (Foto di Gabriella Pittari e Luciana Vicenzini)