Il deserto dei Gobi, il più a nord della terra, è il terzo più grande del mondo (1,3 milioni di kmq) si estende tra Mongolia e Cina.
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Il termine Gobi si riferiva ad una categoria di pascoli della steppa arida con vegetazione sufficiente al sostentamento di marmotte e cammelli. All’estremo nord de paese abitano alcuni gruppi etnici molto isolati per il clima inospitale sono chiamati uomini renna, vivono dell’allevamento di quei preziosi animali in un ambiente estremo studiato da scienziati e antropologi, soggetto a drastici cambiamenti climatici con inverni che toccano i meno 40/60° ed estati che possono superare i 40°. Per i visitatori (solo estivi naturalmente!) un luogo magico dove tutto è al massimo: i colori eccessivi, altezze che raggiungono i 1400 m, dune di sabbia alte 250/300 m. Siamo nella regione di Tuva.
Con un piccolo aereo atterriamo nella zona sud del Gobi, la patria dei simpatici cammelli bactriani che vivono sia selvaggi che in allevamenti molto importanti per la preziosa lana. Ai tempi delle carovane i cammelli erano animali indispensabili per i trasporti. Con le jeep raggiungiamo le dune di sabbia, dal basso sembrano invalicabili, sono intonse, scricchiolano sotto i piedi dei “vandali” desiderosi di emozioni pronti ad aggredirle! Uniche presenze vegetali sono i contorti saxaul, arbusti aridi che hanno radici profonde anche 20 m. S’arrabattano nel sottosuolo alla ricerca di rivoli d’acqua segreti, quelli capaci di tenere in vita qualche animaletto come rettili di diverse specie.
Quei pochi che sopravvivono in questo ambiente così inospitale restano nascosti all’occhio indiscreto dei curiosi. In alcuni punti del Gobi (vuoto in lingua uralo altaica) le dune cantano è un effetto di onde sonore provocato dall’attrito dei granuli di sabbia che scivolano come le slavine di neve sui versanti montani. Bisogna provare ad esserci per capire l’effetto che fa sugli uomini la sabbia quando il vento scaraventa verso est la tormenta, il karaburan (uragano nero) o“drago giallo” arriva fino a Pechino distruggendo al suo passare i raccolti, coprendo di un velo giallognolo le automobili e le strade della capitale cinese.
Deserti d’acqua sono anche i laghi salati delle zone aride: una natura selvaggia spettacolare. Nelle piccole vallate dove l’acqua scorre in superficie una gioia insperata invade il visitatore nell’ammirare quel blu variegato di striature saline bianche che rivelano la lontanissima origine oceanica. Quella poca gente che é dato di vedere si differenzia da noi per i volti tondi bruciati dal vento e dal sole gli zigomi marcati, per gli occhi a fessura: gente ospitale e riservata. Ci spostiamo in una zona del Gobi dove i rossi sfumano in amaranti striati d’arancione, tavolozze di pittori divini. Entriamo nel regno dei dinosauri, animali estinti ma così importanti per la Mongolia da essere inseriti nella loro Carta costituzionale come patrimonio dello Stato. Siamo alle colline fiammeggianti di Bayanzag: dune di terra di geologica bellezza dove si avverte il rumore degli spazi.
La Mongolia insieme all’Argentina è il paese più ricco di dinosauri al mondo. Sono stati portati alla luce scheletri completi che risalgono a 70 milioni di anni fa. La caccia ai dinosauri é iniziata negli anni ’20 del secolo scorso, fu lo scienziato americano Roy Chapman Andrews, direttore dell’American Museum of Natural History, uno spericolato paleontologo, novello Indiana Jones, che scoprì un “giacimento” di dinosauri in un luogo difficile da raggiungere. Ai nostri tempi si esplorano le fosse da cui sono stati estratti gli esemplari più prestigiosi per lo studio della paleontologia: il protoceraptos, oviraptor e il velociraptor. Il deserto del Gobi è il luogo dove è stato trovato intatto l’unico esemplare vissuto alla fine del cretaceo il tarbosauro baatar adulto lungo 12 metri con i suoi 64 spaventosi denti.
Questo luogo rimase top secret fino al crollo del comunismo quando i contrabbandieri avevano già venduto al mercato nero un patrimonio nazionale di importanza mondiale. I dinosauri dormienti sotto le colline fiammeggianti sono ritornati sulla terra e si sono ritrovati scheletri in un’altra epoca, quella umana. Non hanno più bisogno della ricca vegetazione in cui vivevano un tempo così lontano, che hanno certamente dimenticato. Raccolti nel museo di Ulan Bator immagino che nottetempo, a nostra insaputa, si scambino commenti e pettegolezzi sui visitatori della giornata.
Il campo dove dormiremo questa notte è di lusso: il Three Camel Lodge. Altri hotel in Mongolia