L'Armenia mette a disposizione del visitatore un’offerta turistica di grande autorevolezza alla pari delle capitali europee. Ma quello che l'Armenia ha in più sono certe sensazioni che "ogni uomo prova se si pone nella condizione di viandante, aperto all'ignoto".
MONASTERO DI HAGHPAT
Haghpat si trova su un altopiano circondato da profonde spaccature scavate dal fiume Debed. Il monastero designa il primo approccio alla splendida architettura armena e agli originali Khatchkar, le croci fiorite così tipiche di questo Paese. Girando tra le varie costruzioni, s’incontrano in una nicchia, sulla facciata della chiesa della Santa Croce, i due donatori, uno con il turbante l’altro con l’elmo, che offrono il modellino della chiesa; sono i figli della coppia reale dei Bagratuni, sepolti nella cattedrale tra illustri religiosi. Quando si entra nel nartece, che qui si chiama gavit, le luci sono magistralmente dosate per ispirare raccoglimento, c’è anche la musica, che spesso si sente vibrare nelle chiese. L’acustica migliore è nel secondo gavit il cui passaggio è introdotto da uno splendido Khatchkar che rappresenta una crocifissione con due angeli che sorreggono Gesù; ai suoi piedi lo piangono Maria e Maddalena e due santi. La croce era policroma, ora il colore è sabbia arrossata, come se il succo di melograno fosse colato lasciando una debole traccia. Le piccole chiese di San Gregorio e della Madre di Dio completano questo insieme del X/XII secolo, conservatesi per la gloria di Dio e per il piacere estetico-artistico dei visitatori. Nel pavimento, diverse buche fanno pensare che i monaci nascondessero qui i manoscritti più preziosi. L’insieme del monastero è un classico che si ripeterà, capace sempre di sorprendere per l’abilità di creare qualcosa di diverso pur conservando immutata la stessa struttura. Haghpat conserva l’aura acquisita nel lungo periodo in cui fu il centro spirituale dell’Armenia Medievale, quando era assai apprezzata la sua Università, arricchita dalla permanenza, durata 20 anni, del poeta e compositore-bardo Sayat-Nova, morto in questo luogo il 22 settembre 1795.
MONASTERO DI SANAHIN
Il monastero è un esempio d’architettura armena ispirata, semplice nel pensiero e nella realizzazione. La chiesa della Santa Vergine è la costruzione più antica del complesso (X secolo). Poco dopo fu costruita la chiesa madre, quella del Salvatore e, a seguire, fu eretta la chiesa circolare di San Gregorio, dall’interno a croce greca. A collegare tra loro le chiese è la biblioteca, edificata nel 1063. Il campanile è di qualche secolo posteriore. Per lasciare traccia di sé, i donatori (il re Sambat e Gornen della dinastia Bagratuni) sono presenti in una nicchia con la chiesa tra le mani, per non lasciare dubbi ai posteri sui regnanti offerenti. Lo spettacolare gavit a tre navate, con i tetti a doppio spiovente. Esso é concepito come un locale a quattro pilastri che convergono verso l’apertura circolare del tetto per l’uscita del fumo dei bracieri e per l’entrata della luce che, come da un grande occhio, irradia i suoi raggi nella sala. Il pavimento è completamente ricoperto di piastre tombali. Di particolare bellezza è il capitello della semicolonna con volute di serpenti e volti umani. I gavit erano usati anche come sale pubbliche per riunioni amministrative, ma anche dei contabili del luogo, nei momenti solenni o particolari, dei religiosi.
MONASTERO DI KHOR VIRAP E IL BIBLICO MONTE ARRARAT
Sotto l'imponente mole del biblico Monte Ararat, a ridosso del confine con la Turchia, si trova il Monastero fortificato di Khor Virap. È uno dei simboli della religione armena, legato alla prigionia di San Gregorio l'Illuminatore, che in una fossa interrata trascorse 13 anni in mezzo ai serpenti, alimentato dal cibo che alcune donne per pietà e segretamente ogni giorno gli portavano. Fu liberato perché in grado di guarire il re Tiridate III dalla sua pazzia: dopo che il monarca si ristabilì, ricevette il battesimo e face dell'Armenia la prima nazione cristiana nel mondo. Nei dintorni del monastero sorgeva la magnifica città di Artashat, antica capitale, di cui si possono ammirare alcune vestigia.
Questo monastero per gli armeni è esultanza e dolore. L’affermazione può sembrare spropositata, ma dal luogo in faccia all’Ararat, dove visse prigioniero Gregorio l’Illuminatore, l’Armena divenne la prima nazione cristiana del mondo; questa l’esultanza. Tutto molto bello, molto armonioso. Si é ansiosi di conoscere quel luogo fondamentale della storia armena; il monastero della conversione e il monte dalle origini bibliche. Salendo lungo il sentiero, si notano elevate su un colle, le mura fortificate e la chiesa con la cupola cilindrica. Correva l’anno 301, quando il re si convertì al cristianesimo, adottandola come religione di stato: da allora Gregorio diventò l’Illuminatore. Dentro le mura si trova la chiesa dedicata alla Santa Madre di Dio: all’ingresso una cupoletta colonnata aperta ed una massiccia cupola cilindrica. Solo la cella risale al IV secolo, mentre la chiesa ha lo stile delle chiese armene del XVII secolo. Qui non è l’architettura, ma sono la storia e la natura ad emozionare. A rendere più sacro il luogo è la vista dei due Ararat, il grande e il piccolo, stagliati in un cielo color cobalto. Tutti i servizi di hotel e accomodation ad Erevan.
MONASTERO DI NORAVANK e la gola sul Fiume Amaghu
Alla testata di una stupefacente, stretta gola, con pareti strapiombanti, dai colori indimenticabili, sorge Noravank, uno dei più belli e più singolari monasteri dell'intera Armenia, progettato e realizzato da uno dei più grandi architetti dell'antichità, Momik, al quale si devono anche gli stupendi bassorilievi che ornano le pareti delle chiese. Custodisce numerose tombe di vescovi e antiche khatchkar, ricamate nella pietra rosa. L'intera valle è una preziosa riserva per alcune specie animali in via di estinzione.
MONASTERO FORTIFICATO DI TATEV
La più famosa e importante università medievale del vicino Oriente era ubicata presso questo monastero che riunisce diverse chiese e cappelle costruite nel corso dei secoli a partire dal IX°. Lo stile architettonico, le decorazioni in bassorilievo e le cupole "ad ombrello" hanno fatto da paradigma per altre analoghe costruzioni: il suo interno era decorato con affreschi di buona fattura, andati persi a seguito del terremoto del 1931. Qui insegnò, per tutta la seconda metà del XIV secolo, uno degli eruditi più geniali e preparati, Grigor Tatevazi, la cui tomba si trova in una delle piccole cappelle, all'interno della cinta fortificata. In un ambiente paradisiaco, colmo di una gran varietà di fiori e di alberi da frutta, arricchito di fonti d’acque curative, affacciato sulla spettacolare gola di Vorotan, sorge il monastero di Tatev. Costruito su una piattaforma di roccia basaltica naturale, le sue alte mura sembrano scaturire direttamente dalla roccia viva. La leggenda popolare invece, tramanda che l’architetto, della chiesa per cercare di portare al monastero una sua croce, s’arrampicò, scivolò e stava precipitando quando, si rivolse a Dio e l’implorò di mettergli le ali. Il suo desiderio fu esaudito e lui volò in cielo. Da quell’evento prese il nome il monastero Tatev, che vuol dire: dare le ali. L’età d’oro del monastero iniziò nel 1087 con la costruzione della chiesa della Santa Madre di Dio. Al mantenimento dei numerosi monaci, noti studiosi, contribuivano gli oltre 264 villaggi. Furono le invasioni dei turchi selgiuchidi a mettere fine alla sua prosperità. Nei secoli XII e XIII, artefici della rinascita, furono le famiglie Zakarian e Orbelian. Nei due secoli successivi, Tatev era ritornata ad essere una rinomata sede universitaria, per la qualità dei suoi studi in campo scientifico, religioso e filosofico. I volumi prodotti spesso erano decorati di preziose miniature e la biblioteca dell’università custodiva 10 mila manoscritti. Con l’arrivo dei mongoli tutto era stato distrutto e messo a fuoco. Ora si possono ammirare diversi edifici: la chiesa della Santa Madre di Dio (Surp Astvazazin), dal magnifico portale di legno, la chiesa di S. Grigor Tatevazi e la sua tomba, la superba chiesa di Pietro e Paolo, sopravvissuta al terremoto del 1931, un perfetto esempio di sala a cupola. Unica nel paese, è la stele oscillante “gavazan” alta 15 m, una colonna esagonale dedicata alla Trinità. Il complesso monastico possedeva un forno per il pane ed era dotato di un frantoio per preparare il miron, l’olio santo per le liturgie. Al suo restauro ha contribuito anche lo Stato italiano.
SITO PREISTORICO DI KARAHUNGE o ZORATS KARER
Questo luogo isolato, è un promontorio collinare affacciato sul fiume Sisian, ed è diventato fondamentale per la storia mondiale. Il suo aspetto enigmatico disegna un misterioso semicerchio di 223 pietre basaltiche, che fa subito pensare a Stonehenge e il riferimento è assolutamente appropriato. E’ il nome stesso che lo mette in relazione: se karer/kara, significa pietra e hunge voce, Stonehenge ha come radice stone, pietra, henge non si sa, ma per assonanza simile a hunge. I menhir di Karahunge sono larghi un metro, alti da 1 a 3 metri e pesano 10 t. l’uno. Studiosi dell’Università di Monaco (studio del 2000), ritengono la località una necropoli della media età del bronzo, utilizzata fino all’età del ferro. Inoltre, pensano che sia servita come rifugio contro i Parti nel periodo delle guerre elleno-romane (300 a.C./300 d.C.). Studi più recenti sono giunti alla conclusione, che si tratti di un osservatorio astronomico datato 5500 a.C. quindi sorto ancora prima delle piramidi egizie e 3500 anni prima di Stonehenge. Le 84 pietre sono lavorate, (ne sopravvivono 50), alcune presentano un foro di 5 cm in cima, puntato sull’orizzonte dal quale si osservavano le fasi lunari e il sorgere del sole al solstizio. L’accertamento di questa teoria comporterebbe dover ammettere la conoscenza della geometria e delle leggi della fisica da parte degli astronomi dell’epoca. Affida il tuo viaggio a
"Solo un pittore folle avrebbe progettato il campo che stavamo osservando. Le macchie bianche, verdi, lilla, gialle costruivanoun labirinto multicolore. Alti, luminosi, ravvicinati quei cespugli varipinti non li avevo mai trovati in nessun viaggio" (Fernando Da Re da Con l'Armenia nel cuore)