Kashgar, dopo Urumqi (la capitale della provincia autonoma dello Xinjiang) é la città-oasi più importante dell’antico Turkestan, al centro tra Russia, Cina e India.
Era il territorio più conteso nella lotta fra Gran Bretagna e Russia per il possesso dell’Asia Centrale e l’india; quella lotta diplomatica e non solo, chiamata ”Il Grande Gioco”, che i russi chiamano “Il torneo dello ombre”. Prima di entrare in città ammiriamo all’orizzonte in una vastità spettacolare il monte Pamir (il tetto del mondo), un’apparizione luccicante di neve. La fiorente oasi di Kashgar (in cinese Kashi), a circa tre ore di aereo dalla capitale Urumqi, é ora una città di oltre 700 mila abitanti, in prevalenza uiguri, una popolazione di origine turca. Sul territorio degli uiguri, transitarono e si mischiarono genti indoeuropee come sachi, tocari, iranici.
Furono di fede buddista e manichea. Islamici dall’XI secolo, gli uiguri parlano prevalentemente la lingua turca, ora anche il cinese. Kashgar (a 1270 m d’altezza) e tutta la provincia dello Xinjiang (ex Turkestan), era la più grande oasi ai margini del bacino del Tarim e del deserto del Taklamakan.
Abbiamo già incontrato le carovane di mercanti che prima di affrontare la grande traversata e tuffarsi nell’incognito si ritrovavano a Dunhuang, luogo di fede e di meditazione. Per chi arrivava da occidente Dunhuang era il luogo del ringraziamento per aver superato le difficoltà ed essere vicini alla meta. A Kashgar c'era “il mercato” dove si concretizzava il motivo della loro partenza, era il miraggio, “la meta”, un altro di quei punti d’incontro che i mercanti, gente pacifica, non potevano mancare. I mercati sono in prevalenza luoghi di pace, così dovrebbe essere, sempre. Qui c’era tutto quello che serviva ai viaggiatori pronti ad affrontare i lunghi viaggi di andata e ritorno, per superare l’imponderabile e tornare sani e salvi da dove erano venuti.
Ancora oggi il mercato di Kashgar è un luogo magico. Ogni domenica al mercato si recano più di 150.000 persone siano essi han (cinesi), tagiki, uzbeki, Kirghizi, e naturalmente uiguri. Giriamo senza meta tra carretti trainati da asinelli, cercando di cogliere odori e colori, decisamente forti, diversi dai nostri. Ci sono barbieri che regolano le barbe all’aperto, calzolai che riparano le scarpe all’immediato.
C’infiliamo tra filari di pecore tutte legate tra loro con corde che le tengono immobilizzate, prigioniere. Molti uomini le guardano, le “giudicano”, quando decidono di comprare contrattano; per noi diventa uno spettacolo inedito, le mani s’incrociano i visi si riempiono di espressioni che terminano con una stretta di mani per passare il denaro dall’acquirente al venditore. Scene di vita vissuta, impagabili.
Quando si fa ora di pranzo i ristoranti si riempiono. Sull’uscio per attirare i clienti ci sono pentoloni fumanti pieni di pezzi di montone affogati nel riso o nel brodo, conditi con verdure; ribollono spargendo odori accattivanti. Gli affamati venditori e acquirenti si uniscono intorno ai tavoli e continuano i loro discorsi sugli affari della giornata. Un mondo in movimento. Non vorrei andar via, ma anche noi andiamo a pranzo. Il ristorante prescelto è storico il “Chini Bagh” (giardino cinese) che fu dal 1890 al 1918 la residenza del console britannico George Macartney, e della sua famiglia.
Macantney di madre cinese, fu inviato come assistente di Younghusband (esploratore del Tibet) in Turkestan per istallare il consolato britannico. Erano gli anni del “Grande Gioco”, ce lo racconta il bel libro di George Hopkirk. La moglie di Macartney ci ha lasciato un diario in cui descrive come trascorreva la sua vita di moglie e madre occidentale alle prese con le difficoltà del luogo. Catherine era consapevole di partecipare ad un’avventura ai confini del mondo che solo poche persone hanno avuto la fortuna di vivere in un momento storico irripetibile. Il suo libro é: Catherine Macartney “Chini Bagh. Una lady inglese nel Turkestan cinese”. La città di Kashgar ormai non é più quella di una volta, la zona antica fatta di case di fango e paglia nonostante sia stata molto rimaneggiata conserva una sua fisionomia con strade piuttosto strette, rivestite di autobloccanti di cemento che ne uccidono l’autenticità.
Resta comunque compatta la vista d’insieme con quel color miele così affascinante soprattutto all’ora del tramonto. E’ bello girare per le stradine dove le signore curiosano dagli usci per vedere “la straniera” in visita alla loro città. Kashgar conserva alcuni monumenti storici importanti di un passato di fede e di conquista che ha lasciato la sua impronta anche sui suoi abitanti.
Sulla piazza Atigaer la gialla moschea Id Kah con l’originale minareto torre e un bel colpo d’occhio. Visitiamo il mausoleo di Apakh Hoja un po’ più periferico. Sono questi esempi semplici di un’architettura centro asiatica influenzata dalla breve dominazione di Tamerlano, ispirata ai più spettacolari monumenti di Samarcanda. E poi c’è la Kashgar attuale, quella cinese protetta, si fa per dire, dalla monumentale statua di Mao tze Dong. Sicuramente é più pulita, con servizi più moderni, che però non ha nessuna anima “esotica”, una città in cui i problemi degli uiguri costretti a cinesizzarsi, sono diventati altri. (testi e foto di Gabriella Pittari)