Cina, antica via della seta. Gabriella racconta, descrive e fotografa com’era.

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Tanti, forse troppi anni fa, quando la Cina era ancora un paese da esplorare, si andava con i turisti in posti lontani, difficili da raggiungere che in tempi lontanissimi erano stati visitati dalle religioni, soprattutto dal buddismo. In quei luoghi così inaccessibili erano sorti grandi monasteri dove si fermavano le carovane dei commerci tra oriente e occidente.

I mercanti sostavano con le loro merci, con i loro pensieri che scambiavano nelle ore di riposo attorno al fuoco, pronti per affrontare le difficoltà di un altro giorno nel loro lento andare. A ricordare questo passato restano testimonianze d’interesse eccezionale.  Quando la Cina aprì le sue strade al turismo il livello turistico era davvero molto basso soprattutto in quei luoghi, però essere tra i primi ad andarci faceva sopportare tutto. Si entrava in un mondo abbandonato per secoli al proprio destino, davvero irresistibile. Era difficile trovare documentazione sufficiente per prepararsi culturalmente, indagando però ho scoperto che quel mondo era stato frequentato da fior di studiosi e di esploratori che avevano lasciato ai posteri numerosi scritti, delle cronache interessantissime.

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Ho indagato, ho studiato, non potevo accompagnare un viaggio sulla “Via della Seta” pensando che solo Marco Polo era il detentore dei segreti di quell’itinerario così importante per l’intera umanità. Ho letto una quantità di libri assorbendone il contenuto come una spugna. Leggevo per me stessa, ma anche per le fortunate persone che avrei accompagnato in quella che era sicuramente un’avventura per pochi. Durante gli spostamenti raccontavo quanto appreso ai miei fortunati turisti-esploratori. In quei viaggi ci si sentiva uniti, ci si voleva bene, alla sera ci si scambiava qualche opinione sulle letture, sulla giornata, sulle nostre vite a casa: l’atmosfera era superba.

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Devo ringraziare le mie agenzie turistiche per avermi affidato un viaggio così difficile che ho percorso almeno cinque volte attraversando paesi che al giorno d’oggi sono sconvolti, come il Pakistan. Abbiamo percorso un tratto della Karakorum Highway (ci vollero 20 anni per costruirla) lunga circa 1200 km che attraversa località a  quasi 5000 mt sul livello del mare.

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Si prova un’emozione senza tempo, si sta in religioso silenzio, quando s’attraversano i 100 km di terra di nessuno, ma anche nel tratto di montagna dove 60/40 milioni di anni fa é avvenuto lo scontro tra l’India e l’Asia  e si é formata la catena  dell’Himalaya. Si vedono nere rocce vulcaniche scagliate in mezzo a rocce di altro tipo. La guida ci fa scendere dal bus per mostrarci il mondo sottosopra.

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 Si percorre dall’alto la valle dell’Indo, il fiume scorre in tutta la sua potenza e bellezza, è  grigio, rumoroso, si vedono ruscelli blu come vene immettersi nel grande fiume lungo le cui sponde si è sviluppata una delle civiltà più creative del mondo. Quel viaggio epico non é più possibile, molte zone sono inaccessibili, pericolose, forse lo erano anche allora, ma la curiosità nostra e dei locali ci proteggeva reciprocamente. Sono passati più di 30/35 anni e i cambiamenti storici sono stati abissali.

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Dunhuang - le grotte di Mogao

Questa località cinese fu dal V al X secolo una tappa essenziale dei mercanti orientali e occidentali per il trasporto delle loro preziose mercanzie dalla Cina all’Europa. Dunhuang era il punto di partenza o di arrivo, era “la porta” aperta tra i continenti. Fu qui che secondo la leggenda il monaco buddista Lezun ebbe la visione dei mille Buddha e convinse i mercanti a finanziare il centro religioso, che dal V secolo si arricchì di 496 grotte incise nella tenera roccia calcarea, affrescate e decorate di statue. Dal X secolo con il decadere dei percorsi commerciali via terra molti luoghi furono abbandonati. Il monastero di Dunhuang, le grotte di Mogao, sopravvissero con i pochi monaci che ci abitavano. Nel 1900 il monaco taoista Wang Yuanlu custode delle grotte incuriosito dal suono sordo di una parete nella grotta n.16 l’abbatté portando alla luce un immenso patrimonio di manoscritti di tutte le religioni del mondo e non solo, nelle lingue più diffuse quando il transito da Dunhuang era cosa seria. Il monaco avvertì le autorità della sua scoperta ma non fu troppo ascoltato, mentre la notizia di una scoperta così sensazionale si diffondeva tra gli studiosi e gli speculatori soprattutto europei.

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Il monaco cominciò a vendere quei preziosi documenti così ben conservati grazie al clima secco e al buio che li aveva preservati per ben nove secoli. Vennero alla luce circa 30 mila rotoli, scritti nestoriani, tibetani, manichei, sanscriti, fondamentali per la conoscenza di un così importante passato. A Dunhuang arrivarono dall’occidente, studiosi, ricercatori, truffatori, tutti che volevano impossessarsi di quel patrimonio inestimabile venuto alla luce. Era chiaro che durante il IX e il X secolo nella zona c’erano state rivolte e persecuzioni, i monaci per salvare il loro patrimonio culturale, murarono tutto, sperando di poter riportare alla luce in tempi migliori quei preziosi documenti. Nessuno ne tramandò la conoscenza. Insieme ai testi c’erano statue di un’arte a volte ingenua, dipinti che raccontavano la vita di Buddha o di illuminati. Tanti paesi sovrani mandarono loro studiosi a comprare o, perché no a rubare, opere da collocare nei propri musei. Per anni ci fu una corsa ai preziosi reperti di una cultura così variegata che s’incontrava nelle grotte di Mogao che per fortuna si può ancora conoscere grazie ai preziosi ritrovamenti.

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Quando si percorre la polverosa strada che sembra una cipria ambrata e si arriva davanti all’alto portale dell’ingresso all’area archeologica, ci si sente orgogliosi e fortunati di entrare in un mondo che é stato così importante nella storia dell’umanità. Ci si commuove e si resta senza parole apprezzando la storia di un passato che ha così tanto da dirci. (testi e foto di Gabriella Pittari)

In questo sito tovate tutti i racconti di viaggio di Gabriella Pittari.

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