Mentre l’Europa indebolita da discordie dinastiche e religiose entrava e usciva dall’esperienza delle Crociate in Medio Oriente, “Il flagello di Dio”
alla testa dei tartari (nome con cui gli europei chiamarono i mongoli) cavalcava alla conquista del mondo conosciuto.Dopo la morte di Gengiz Khan nel 1227 l’espansione mongola continuò con i suoi quattro figli, ma soprattutto con Ogodei, reggente di Karakorum. Negli anni ’30 del XIII sec. Ogodei burocratizzò l’impero, organizzò il servizio postale, che diventò veloce ed efficiente. Era la via della seta dove “una donna nuda poteva andare dall’Europa alla Cina senza che nessuno la toccasse”. Proverbiale fu anche la tolleranza religiosa dei khan, che consolidò la pax mongolica. Tra il ‘200 e il ‘300 il mondo mongolo rappresentava i due estremi opposti la ferocia e la tolleranza. Gli scambi etnici dall’oriente più lontano, degli unni con mongoli, turchi, alani e massageti furono studiati in modo approfondito da Lev Gumilev, figlio della poetessa russa Anna Akhmatova. Pensando alla complessa storia di questo esteso paese ci avviamo nel suo entusiasmante paesaggio alla volta di Karakorum, la capitale dell’impero di Gengiz Khan. Lungo il tragitto incontriamo diversi ovoo, “risorti” a memoria del passato buddista dopo il crollo dell’URSS nel 1991. Gli ovoo sono tumuli di sassi accumulati attorno ad un palo centrale, l’asse del mondo, su cui sventolano sciarpe votive blu: per i locali é il mondo degli spiriti che vanno onorati con tre giri di rito, lasciando infine una pietra, a mo di preghiera. Arrivando in Mongolia il buddismo tibetano aveva incorporato riti sciamanici radicati nel paese. Nel 1242 Khubilai Khan, nipote di Gengiz di madre cristano-nestoriana, diventato imperatore della Cina, si era convertito al buddismo.
Nel XIV secolo fu creato il Soyambo, lo stemma della Mongolia, un’astrazione religiosa così efficace da far piombare l’osservatore nel pensiero più recondito della mente. Nel 1686 Il Buddha mongolo vivente Zanabazar compose l'alfabeto uigurico utilizzando gli ideogrammi presenti nel Soyambo e tradusse i testi buddisti. Infine ai tempi del comunismo i sovietici avevano attuato una spietata persecuzione contro il corrotto stato ecclesiastico mongolo, distruggendo templi, uccidendo monaci. L’alfabeto cirillico sostituì la grafia uigurica.
Proseguiamo immersi in un paesaggio spettacolare che dopo la fitta pioggia notturna sembra di velluto cangiante, sferzato dal vento da cui si alzano formazioni rocciose, simili a sculture astratte posate su tappeti d’erba. Quando appare la fessura del fiume Orkhon i colori diventano di bellezza emotiva. Nell’acqua si ristora una mandria di yak, In cielo nuvole bianche e nere sembrano pecore volanti pronte a scendere in terra per pascolare libere in quel paradiso terrestre. E’ già l’imbrunire quando appaiono all’orizzonte le mura del monastero Erdene Zuu che occupa il perimetro della famosa Karakorum descrittaci dall’inviato del papa, il francescano Giovanni di Pian del Carpine nel suo “Storia dei mongoli” visitata anche da Guglielmo di Rubruck accompagnato da Bartolomeo da Cremona, e in seguito dai mercanti Polo il cui nipote Marco nel suo famoso diario “Il milione” ci ha lasciato una descrizione degli itinerari e dei loro incontri lungo la Via della Seta.
Man mano che ci si avvicina alla città diventata monastero, si materializzano le mura di mattoni ornate di 108 stupa bianche, il colore della trascendenza. La stupa è il reliquiario buddista per eccellenza. Il numero 108 rimanda a Shiva il distruttore della triade induista. Quando Shiva é Nataraja regge il mondo con la sua danza cosmica che ha 108 posizioni. Il Dio indossa una collana di teschi di 108 grani e 108 sono le lettere dell’alfabeto sanscrito. Al monastero ci sono pochi visitatori, e pochi monaci. il luogo é suggestivo. I Buddha nel tempio sincretizzano i tre livelli dell’esistenza della cosmogonia sciamanica: la terra, il cielo, gli inferi, e nello stesso tempo rappresentano il passato, presente, futuro della trilogia buddista lamaista.
Il monastero Erdene Zuu sorse nel XVI secolo. Fu costruito con i pochi materiali edili rimasti dei palazzi di Ogodei, perché la città era in prevalenza un‘orda, un accampamento di tende. Della mitica città di Gengiz Khan restano solo due delle quattro enormi tartarughe di pietra che segnavano i punti cardinali. La tartaruga, animale simbolico di lunga vita era impiegata dai cinesi per gli editti alla popolazione che dovevano essere eterni come la vita della tartaruga. Ora dentro le mura ci sono solo tre templi e la stupa reliquiario del lama fondatore. La struttura architettonica è quella delle pagode cinesi.
La notte la passiamo al campo tra erbe aromatiche immersi nel profumo del timo nelle ger che perpetrano l’axis mundi, il microcosmo degli uomini, che hanno come gli ovoo, l’albero della vita come asse centrale.