I mercanti ricchi abbellivano per se stessi e per i loro ospiti dimore che emulavano le regge dei maharajah per mostrare la ricchezza e il livello sociale raggiunto.
C’è una località a nordest della terra dei Raja dove oriente e occidente si sono incontrati nell’arte: lo Shekhawati, il Giardino di Shekha. Rao Sheka fu il condottiero rajput nato nel 1433 ai confini dell’ipnotico ocra del deserto del Thar. In questa terra d’abbandono all’interno del triangolo tra Jaipur a sud, Bikaner a ovest, New Delhi a est, si trova la più alta concentrazione al mondo di affreschi all’aria aperta dipinti sulle facciate di circa 2500 haveli di ventitré villaggi racchiusi in un perimetro di cento chilometri. Gli haveli sono i palazzi degli antichi mercanti marwari, arricchitisi con il commercio delle spezie, delle sete, dell’oppio, prodotti che trasferivano dalle coste del Gujarat fino a Delhi attraversando il silenzio del deserto con lente e solenni carovane di dromedari per entrare poi nell’arcobaleno della pulsante vita delle città. I maharajah per conquistare la stima e l’affetto dei sudditi, ma anche per tenerli assoggettati, costruivano laghetti e templi, pozzi, dharamshala, (caravanserragli, alberghi per la notte per proteggere animali e persone), chatri (cenotafi). I mercanti ricchi abbellivano per se stessi e per i loro ospiti quelle dimore-miniature che emulavano le regge dei maharajah per mostrare la ricchezza e il livello sociale raggiunto anche grazie agli stranieri diventati loro “clienti”. Affiancavano alle abitazioni dei pozzi a quattro cupole con i bufali che scendendo in un incavo tiravano su i secchi. Costruzioni di sorprendente ed emotiva bellezza. Guardare quelle facciate è come sfogliare le pagine della storia del progresso dell’occidente: automobili, telefoni, treni, biciclette, occidentali vestiti alla moda inglese, eleganti signore sedute al tavolino per un the. La maggior parte di questi affreschi risalgono agli anni tra il 1860 e il 1900. Del 1750 sono invece quelli più antichi che rappresentano in prevalenza soggetti religiosi indù, raccontano le avventure del dio Krishna, dio dell’amore che suona il flauto alle gopi, le sue pastorelle. E’ molto probabile che l’ispirazione per queste storie siano state le miniature introdotte alle corti dai mogol, che a loro volta avevano come riferimento le miniature persiane. Le pastorelle di Krishna vestono sgargianti gonne a ruota in prevalenza rosse, alla rajasthana, con una casacchina, raramente indossano sari. Non dobbiamo dimenticare che gli zingari vengono da qui e le zingare portano colorate gonne arricciate. Ai lati dell’ingresso degli palazzi più prestigiosi sono dipinti due elefanti, per dare il benvenuto agli ospiti. Sulle facciate dei palazzi del ‘900 è raccontato un periodo storico molto importante: l’India coloniale e i loro rapporti con una casta benestante indiana. Mostrano le novità tecnologiche introdotte dagli inglesi, non solo treni e automobili o mongolfiere, ma telefoni, grammofoni, tutte quelle cose che avrebbero di lì a poco mandato in malora proprio quei palazzi. Si passa da un haveli all’altro tra strade polverose con pavoni svolazzanti e tanti passeri a riposo sui fili della corrente. Ci si sente catapultati in un paese inventato dalla fantasia di un visionario. Con l’arrivo della ferrovia lo Shekhawati diventò una zona fantasma, i suoi splendidi haveli furono abbandonati dai proprietari alle intemperie per continuare i loro commerci dalle città: Calcutta, Mumbai, Madras, Delhi. Un vero patrimonio artistico stava andando in rovina abbandonato a se stesso o ai guardiani che lì vivevano senza occuparsene. Negli ultimi anni anche grazie al turismo si è cominciato ad apprezzare questo unico e inestimabile ambiente che ora viene rivalutato. I proprietari impoveritisi dopo l’Indipendenza dalla Gran Bretagna e dopo che Indira Gandhi aveva cancellato tutti gli appannaggi di cui godevano, hanno scoperto recentemente che potevano ridare nuova vita agli haveli abbandonati: così alcuni sono diventati scuole, altri, più ricchi di affreschi, vengono affittati per i matrimoni, alcuni sono location per riprese televisive, altri ancora sono diventati piccoli hotel di charme. Vi assicuro che dormire in un haveli dipinto è un’esperienza memorabile soprattutto se capitate in una stanza affrescata con le storie di Krishna, allora potreste addormentarvi sognando…l’Amore. Gli arredi sono quelli familiari, le foto quelle dei tempi memorabili; i proprietari a caccia, i matrimoni con lo sposo in groppa all’elefante. Domina il mondo maschile. In alcune foto c’è qualche signora della famiglia. La regione è infuocata, anche per questo ci si sente come sollevati in una nube di calore, in un mondo fuori del nostro, in sanscrito lo chiamano marustahi, regione della morte. A tener il contatto con la morte sono anche i chatri, i piccoli cenotafi funerari degli antenati regali che proteggono i villaggi. Solo di sera la calura si attenua e scende il freddo. Il cielo si riempie di stelle, quelle luci che illuminavano il percorso dei mercanti attraverso il deserto, con il miraggio dei loro haveli all’orizzonte.(foto e testi di Gabriella Pittari)