L’assurda città bianca
La capitale del Turkmenistan si chiamava Ashkhabad alla russa, era una città senza carattere mezza distrutta dal terribile terremoto dell’ottobre 1948. Ora i presuntuosi emiri ex comunisti la chiamano Ashgabat,
dal persiano antico, che vuol dire “città dell’amore”. E’ una metropoli dall’improbabile architettura con pretese di grandiosità orientaleggiante, realizzata da due sole imprese edili una francese l’altra turca. Sono sorti incredibili palazzi come templi colonnati incapaci di rievocare quel passato persiano che per altro i “regnanti” rinnegano. I palazzi rivestiti di marmi di Carrara con cupole dorate o di ceramica non sono altro che la farsa in un paese dove il popolo, pur non contando affatto, è stato convinto di rappresentare una “dinastia” che lascerà ai posteri una Persepoli dei tempi moderni, di “cartapesta”, nonostante la profusione di marmi l’abbia fatta entrare nel guinness dei primati. Forse il mio é un giudizio troppo drastico. Dal cielo arrivano ad Ashkhabad molti uomini d’affari, interessati al gas naturale e al petrolio che ha permesso al presidente-padrone di realizzare questa Hollywood del deserto, un’opera che prosegue con il suo successore Berdimuhammedov, che abbatte le statue del suo predecessore per sostituirle con le proprie. La città utopica e surreale è dilatata in enormi spazi, ha lunghi viali dove da un lato si rincorrono una serie di fontane, al centro si susseguono aiuole disegnate, alternate a gazebo tondi che proteggono dal sole i visitatore fino ai palazzi del potere ornati di cupole: quella dorata designa la residenza del presidente, quella con cinque cupole azzurre è il parlamento. Si dice che questi due palazzi siano collegati con un passaggio sotterraneo ad una galleria che porta all’aeroporto: non si sa mai! Altri palazzi “regali” ma più semplici sono i ministeri, cubi colonnati con cupole semisferiche. Le luci accese notte e giorno fanno di questo centro un sorvegliato speciale con poliziotti pronti a difendere la sua asetticità. Tutte le statue e i monumenti, e non sono pochi, sono realizzate dalla ditta turca. Il monumento alla neutralità, nato per celebrare la politica estera, era una goffa rampa missilistica. Il nuovo presidente l’ha eliminato. Sulla terrazza girevole si trovava la statua dorata dell’ex presidente (morto nel 2006) che “benediceva” i visitatori affacciati sul superbo panorama. In sostituzione di quel monumento è sorto al parco dell’Indipendenza un obelisco alto 118 m circondato da una folla di personaggi storici, illustri sconosciuti. Un enorme toro nero (il totem della loro tribù oghuz) sostiene tra le corna un mondo terremotato su cui è “appollaiata” la statua della madre per antonomasia che regge tra le braccia Niazov neonato, naturalmente d’oro. Neanche a parlarne del culto della personalità!
Girando tra questi spazi disabitati, colpisce lo spreco d’acqua; fontane che lanciano alti getti per creare un microclima che nessuno può godere; la “plebe” vive nella città “proletaria”, decisamente più animata, usufruendo di quel poco d’acqua che il dittatore di turno concede loro. Al popolo sono concessi l’abitazione e il gas quasi gratuiti: bello sforzo, sono il quarto produttore mondiale di petrolio e gas naturale! Un monumento speciale, è dedicato al cavallo turkmeno. Introdotto dalla statua di un Niazov d’oro col pastrano svolazzante alla Lenin, si percorre un vasto viale fiancheggiato da una fila di lampioni inseriti in una doppia stella di Salomone. In alto sulla collinetta trionfano i cavalli Akhal-teké, quel prezioso animale che i nomadi turcomanni scambiavano con i cinesi. Gli Akhal-teké erano ricercati per la loro resistenza e la incomparabile elegante bellezza. Un altro monumento è dedicato alla bibbia di Niazov, un gigantesco “Ruhnama” ovvero il “Libro dell’Anima”, una banale raccolta di pensieri di genere moralistico: da che pulpito! Ricorda il libretto verde di Geddaffi anche questo ha il colore verde islam. Il popolo turkmeno è di religione islamica quindi anche le moschee hanno il loro posto in quest’accurata geometria, la più grande ha una cupola d’oro ed è di stile ottomano. Da quanto visitato fin d’ora si può dedurre che il Turkmenistan con la sua capitale aspiri a diventare quello che Dubai è per il Golfo Persico: un centro di finanza e d’industria petrolifera in Asia Centrale.
Ashgabat potrebbe essere la città ideale per un film di Charlot dal titolo “I grandi dittatori dell’era moderna”. C’è per fortuna una parte di Ashgabat più umana che vi faremo conoscere nella prossima puntata. (Testi e foto Gabriella Pittari)