Samarcanda, Raghestan la piazza di Tamerlano

 

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Samarcanda, Raghestan la piazza di Tamerlano

 Andare a Samarcanda è entrare nel mito, anche se la città dei tempi di Tamerlano è sepolta nella polvere dei secoli, e solo alcune architetture si sono salvate per testimoniare quale fosse nel XV secolo il paradiso ricreato in terra da quel temibile conquistatore.

Noi non viaggiamo solo per il commercio:

i nostri cuori ardenti sono alimentati dai venti più caldi:

per la sete di conoscenza di ciò che non si dovrebbe conoscere

abbiamo intrapreso il Viaggio Dorato per Samarcanda.

(James Erloy Flicker 1913)

 Mi giravano in testa questi meravigliosi versi, tutte le volte che partivo per Samarcanda, la città che rappresenta, nell’immaginario del viaggiatore, la meta irraggiungibile delle Mille e una notte, quel posto mitico, quasi al di là del mondo conosciuto, che si pensava frutto della fantasia. Io ho avuto la fortuna di andare a Samarcanda molte volte, sia quando era parte dell’Unione Sovietica, che ora, che è ritornata ad essere la città di Tamerlano, indipendentemente dall’essere una città dell’Uzbekistan.

TamerlanAndare a Samarcanda è entrare nel mito, anche se la città dei tempi di Tamerlano è sepolta nella polvere dei secoli, e solo alcune architetture si sono salvate per testimoniare quale fosse nel XV secolo il paradiso ricreato in terra da quel temibile conquistatore. Per fortuna dei posteri, l’ambasciatore spagnolo Ruy Gonzalez de Clavijo, inviato alla corte di Tamerlano dal re di Spagna Enrico III, ha lasciato un diario di notevole importanza storica sulla sua missione diplomatica. Nel diario descrive la vita nel paese e le bellezze architettoniche, molte delle quali in costruzione proprio durante la sua visita, crollate in seguito per le guerre  o a causa di terribili terremoti, o scomparse semplicemente per incuria. Il libro di viaggio di De Clavijo è una fonte inesauribile d’informazione sui territori attraversati, quasi tutti sottomessi al conquistatore. La delegazione passa dall’Ararat (all’epoca Armena) alla Persia, entra in Turkestan, arriva a Samarcanda l’8 settembre 1404, un anno e mezzo dopo la partenza, lì si ferma due mesi e mezzo. Cosa resta di quella città visitata dall’ambasciatore? Sicuramente la piazza Raghestan: una piazza chiusa su tre lati, una moschea al centro e due madrase (scuole coraniche), una per lato. La piazza è rimasta isolata dal contesto antico, la sovietizzazione ha creato dei vuoti “storici” che hanno isolato le architetture rendendole pezzi da museo. La piazza Raghestan suscita comunque, una forte emozione. Il sole illumina le piastrelle azzurre dove corrono le parole del profeta inserite in elaborati fiori geometrici dai caldi colori con dominanti azzurre e verdi, alleggeriti da sprazzi di giallo; geometrie floreali, che s’intrecciano con le stelle del firmamento, quelle stelle di cui il nipote di Tamerlano, Ulugh Beg, era un appassionato e noto scienziato.

La Grande Moschea del Venerdì fa da sipario, presenta una cupola turchese di ceramica invetriata all’esterno;aforismidiviaggio samarcanda2 all’interno diventa un intero paradiso di foglie d’oro e fiori che formano magici cerchi che si restringono verso il centro. Tre alti portali si sfidano in bellezza, creando quell’armonia celeste espressa dalla religione islamica. I cilindri dei minareti terminano con un fior di loto aperto verso il cielo. “Tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà” come dice Battiato in “Invito al viaggio”. Ordine, nato per esaltare, insieme a quella d’Allah, la grandezza di Tamerlano al fine di tramandarla ai posteri. Stesa a terra sulla piazza è la rappresentazione di un “Suzané”, un tipico tappeto che le donne ricamavano per i loro corredi di nozze e che dopo il crollo dell’URSS, hanno ricominciato a ricamare per i turisti. Sul lato destro la moschea sciita mostra ai lati del portale un volto umano che sorge come un sole sulla schiena di una tigre. Nell’islam sciita era possibile la rappresentazione d’animali, raramente di persone. La cupola ogivale di questa madrasa richiama la tjubtejka, il tipico copricapo ricamato degli uzbeki, cui sembra ispirarsi. Piastrelle azzurre si alternano a scritte coraniche, che fasciano la cupola come un nastro magico che vuole diffondere con leggerezza il “verbo” del Profeta, diventato un decoro anche dell’anima. Girando tra questi cortili “mistici” anche se ora diventati botteghe di piccoli artigianati, diventa difficile immaginare che Raghestan voglia dire “il posto delle sabbie”, quella sabbia che ai tempi di Tamerlano e anche per molto tempo dopo la sua morte, era il luogo delle esecuzioni capitali dove la sabbia doveva assorbire il sangue dei malcapitati.

Alla sera si torna sulla tribuna di fronte alla piazza Raghestan per assistere ad un mal recitato ed enfatico sones et lumieres d’esaltazione dei tempi passati.

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Le luci scorrono tra le piastrelle colorate mentre m’immergo nei miei pensieri e ripenso ai versi del grande poeta F.Ahmad Faiz:

.e nei rami

ci sono migliaia e migliaia di carovane

di stelle, con le fiaccole in pugno,

e attorno sperduti mille

chiari di luna…

foto e testi di Gabriella Pittari