Suzhou
paradiso in Cina
Un proverbio cinese recita: In Cielo c’è il Paradiso, sulla terra Suzhou e Hangzhou. La Cina è così vasta, che bisogna a priori decidere dove e cosa andare a vedere. Cominciamo a conoscere il Paradiso di Suzhou.
La Cina è cambiata anche troppo, da quando ha aperto i battenti al turismo nel lontano 1979/80. Anche i cinesi sono molto cambiati, pur conservando la specificità di essere gente laboriosa e pensierosa, hanno cambiato i propri ritmi di vita e ora mangiano tutti i giorni. La Cina non ha mai dimenticato di essere una nazione “imperiale”, tanto che nel lontano 1980 si dichiarava “il quarto mondo”, non accettando di essere catalogata nel “terzo mondo”. Marco Polo che in “Le città invisibili” di Italo Calvino, raccontava all’imperatore Khublai Khan come erano le città da lui conosciute, tracciava in realtà una panoramica delle città della Cina e non solo, perché non poteva dimenticare Venezia, la sua città. Il fascino di questa nazione non è solo la sua storia millenaria, di cui tutti gli abitanti sono consapevoli, ma è anche quel Paese così popolato da sembrare un continente. Il treno è diventato un mezzo antiquato anche per i cinesi: le località famose si raggiungono in aereo. I cinesi sono ben consci di avere una storia unica e ricca, di poter offrire al visitatore, e al turista, una panoramica di località dall’indiscutibile fascino, inserite in una splendida natura, cui aggiungono l’abilità dell’uomo che l’ha forgiata così bene da confondere Lei stessa, tanto da non sapere più cosa sia naturale, e cosa il frutto di un abile rimaneggiamento. La Cina è così grande e abitata, che bisogna a priori decidere cosa andare a vedere. “In Cielo c’è il Paradiso, sulla terra Suzhou e Hangzhou”.
Suzhou, fondata nel 514 a.C. dallo Stato di Wu, è famosa per la seta, un’industria sviluppatasi sotto la dinastia Song, e per i suoi giardini, affacciati su canali artificiali. Porto d’arrivo del Grande Canale Imperiale, Hangzhou è sul fiume Yangze Kiang, riconosciuta culla di civiltà, famosa per la produzione di the e per la bellezza dei suoi giardini. Gemellata con Venezia sin dal 1980, Suzhou dimostra il suo unico punto di somiglianza nei canali su cui è nata. I dieci milioni di abitanti che la città conta, fa l'estrema differenza. La città vecchia è molto più piccola, e quando, nell’825 erano i poeti a costruire ponti, ad aprire canali, ad edificare templi, era già chiaro che nei suoi splendidi giardini avrebbero vissuto solo mandarini, (a Suzhou i ministri degli imperatori Ming e Qing), coloro che temendo di non superare nella Città Proibita gli esami di Stato, mandavano loro sostituti, lautamente pagati, tanto la fotografia non era stata ancora inventata. A Suzhou, è cresciuta una città moderna con strade affollate, non più cinese, ma nemmeno europea, un ibrido d’oriente inventato dalla necessità di dare alloggio ad una popolazione sempre in crescita, nonostante le famiglie a figlio unico, imposte per legge. Si lascia alle spalle la città anonima e si entra a piedi in un mondo autenticamente cinese con case che bordano i canali e si rispecchiano perfettamente nell’acqua, creando suggestive immagini di un paesaggio bianco e nero che non può essere una visione astratta, dato che tutto è movimento: le barche percorrono i canali con le loro merci, la gente svolge le proprie attività davanti alle piccole case, le bici corrono sulla riva. Solo quando si varca la porta di quei giardini ci s’immerge nell’astrattismo vero, si entra in una dimensione immutata dove vigono i canoni di un poetico passato catalogato da simboli imperituri. Si attraversa la porta tonda e si sa che la felicità è di là da quel tondo, dove in un cortile chiuso e pavimentato disegnato con piccoli sassi di fiume, si alzano sculture, massi forati: l’ha scolpite la natura, l’acqua e il vento, l’uomo l’ha semplicemente, ma a fatica, strappati al fiume, e rigirandoli da tutti i lati ne ha colto il lato artistico. Ora sono lì, capaci di suscitare in chi guarda, stati d’animo particolari che noi certo non sappiamo cogliere come i cinesi, ma li intuiamo grazie alla loro bellezza. Nel passato erano questi massi, questi scorci ad ispirare poeti e “intellettuali” che venivano a riposarsi e ad ispirarsi in quelle che erano le loro residenze di ricchi funzionari statali, non solo meri burocrati, ma anche eccelsi poeti. Nel giardino del ministro Liu ci sono appuntite pagode, eleganti padiglioni, mobili sobri, eleganti all’eccesso, stanze fatte per meditare. Anche i quadri di questi padiglioni sono strappati alla natura: pezzi di marmo dalle venature artistiche diventano paesaggi cinesi dove i poeti incidono su un angolo un poema, trasformando quello che per noi è un semplice marmo, in un’opera d’arte, in un Paese dove anche la scrittura è considerata una forma d’arte. Quasi inconsciamente cerchiamo stanze che assomiglino alle nostre, ma qui il concetto di casa è, ora si può dire era, così diverso dal nostro che non riconosciamo nulla che ci riporti a qualcosa di conosciuto. La natura apparentemente domina, ma anche lei è stata “sottomessa” dall’uomo che l’ha forgiata a suo piacimento. Basta guardare i bonzai per rendersene conto. Tutto è messo in contrasto in un grande gioco di Yin/Yang, gli elementi che sono necessari l’uno all’altro, come l’uomo e la donna: dove c’è il bagnato e l’asciutto, dove c’è l’ombra cade anche il sole, al bianco si contrappone il nero, e così via. In questo gioco all’apparenza solo intellettuale, conta molto la superstizione. Se le case sono bianche con tetti di cotto nero, è chiaro che vi vivevano i contadini, anche se queste case ora sono ambite da chi si è arricchito finanziariamente, e affinato intellettualmente. I cinesi hanno cominciato a capire il valore delle loro costruzioni storiche e se le comprano, speriamo per salvarle. La casa in questi giardini è un rifugio per ripararsi dalle intemperie ma non per occultarsi. Per chi si chiede quando è meglio andare a Suzhou, diciamo che non ci sono dubbi; o in primavera o in autunno. Nei viali costeggiati di platani francesi (come li chiamano i cinesi) i colori aggiungono tonalità e sfumature poetiche indispensabili ad un “paese” preservatosi all’interno di una città di 10 milioni d’abitanti.