In Guatemala tutto é eccessivo, i colori, i cieli blu, la terra nera, la stanchezza delle persone sui loro volti e la tristezza negli occhi di Indios e ladinos, caratteristiche che subito notiamo arrivando in questo straordinario Paese.
Partecipare alla Pasqua in Guatemala é un modo per scoprire la sua intimità, per sentire più vicina quella gente così riservata che non ha saputo o potuto liberarsi del fardello della conquista spagnola, una condanna per chissà quali terribili peccati, un Paese tormentato dai continui terremoti che seminano morte e distruzione. Sentimenti che affiorano nelle manifestazioni della Pasqua in cui gli abitanti delle diverse città del Guatemala liberano la loro atavica disperazione in una “festa” tragica e collettiva, una rappresentazione teatrale atta a sfogare le loro frustrazioni vitali in un Paese dove la droga, la criminalità e l’assassinio fanno parte della vita quotidiana. Partecipare alla Pasqua é un modo per condividere le proprie sofferenze con quelle del calvario di Cristo.
La Pasqua é la Pasqua, tutta la Nazione é impegnata nei festeggiamenti, non importa a che prezzo, per la festa si può spendere e tutti partecipano, chi portando i carri delle confraternite e chi, soprattutto le donne, preparando ghirlande di foglie di palme, ma anche cibi di strada per i partecipanti sia locali che stranieri, arrotondando in tal modo i miseri guadagni.
Partiamo per essere a Città del Guatemala la domenica delle palme. E’ già sera quando esploriamo la città, le strade sono piene di persone accampate venute dai vicini villaggi impegnate ad intrecciare ghirlande di foglie di palma da vendere. Sono le donne le più indaffarate circondate da bambini stanchi come le loro madri. Durante la notte altri hanno lavorato per “stendere” tappeti di fiori che saranno distrutti lungo il percorso dalle “anda”, i carri ondeggianti, portati a spalla. All’alba tutto é pronto.
Dalla chiesa de los Capucinas esce la prima processione, un lunghissimo e pesantissimo carro sostenuto da 112 nerboruti signori in eleganti abiti borghesi che si alternano con altri ad ogni incrocio; anche le signore portano il pesante fardello dell’anda, quello della Madonna. Lungo la strada una sfilata di miliziani romani con elmi e corazze di autentica plastica proteggono i visitatori ai lati della strada.
Passata la domenica si va ad Antigua, perché é qui che le celebrazioni della Pasqua sono le più sentite. Antigua era la capitale del Guatemala così torturata dai terremoti da essere abbandonata nel 1773 a favore di una nuova capitale: Città del Guatemala. Una parte della popolazione però non l’ha lasciata e lentamente Antigua si é ripopolata; ora é una piccola e tranquilla cittadina sempre minacciata dai vulcani de Agua, de Fuego (attivo) e Acatenango; protetta dall’Unesco conserva intatto l’impianto coloniale spagnolo, ha 40mila abitanti, ma in occasione della Settimana Santa la visitano un milione di persone.
Attualmente ricchi nordamericani acquistano le case coloniali e le trasformano in piccoli hotel di lusso o in ristoranti e boutique.
Se la città é coloniale la Pasqua é barocca, elaborate anda con statue di Cristo, della Madonna e scene della Via Crucis vengono trascinati solo dagli appartenenti alle confraternite girando tutta la città per un’incredibile quantità di ore. Ogni giorno di quell’immane tragedia del sacrificio di Gesù ha il suo colore; viola, nero, celeste, con i figuranti in vesti ebraiche. Ogni chiesa ha la sua processione e la sua confraternita che segue la via Crucis verso il Calvario, dove giungerà la principale processione del Venerdì Santo. Vediamo i carri allegorici sfilare su tappeti di fiori o di segature colorate distrutti dal passaggio di tutti quei piedi, come a farci intendere la caducità della vita. Alle 3:00 di venerdì una ronda a cavallo gira tutta la città leggendo la “sentencia”, la condanna di morte di Gesù emessa dal Sinedrio. Il momento più toccante é il venerdì pomeriggio quando, dopo la morte, un Cristo snodabile viene calato dalla croce in una straziante atmosfera carica di pathos.
Nella chiesa gesuita della Escuela de Christo gli Indios piangono la sua morte come se si verificasse in quel momento. Seguiamo le folle che si spostano in continuazione da una chiesa all’altra e ammiriamo quelle magnifiche vesti degli Indios pieni di colori, ricamate da quelle donne infaticabili, che preparano frittelle, minestre, dolci mentre allattano neonati e chiacchierano tra loro senza tregua in una frenetica attività che prende tutti, anche noi che seguiamo l’onda per cogliere ogni dettaglio di questa rappresentazione della morte e della vita.
Arriva il giorno di Pasqua e dalla chiesa dell’Hermano Pedro esce l’anda con Cristo risorto, gli Indios sembrano impazziti, ora tutti vogliono e possono infilarsi a portare almeno per un attimo la statua di Cristo risorto, mentre dal campanile lanciano petali di fiori bianchi e le campane suonano a festa. La vita vince sulla morte. (testi e foto di Gabriella Pittari)