Pisac, mondo variegato di un mercato Andino
La cartolina da Pisac si spedisce la domenica, perchè il giorno della messa è anche il giorno di mercato. Uno splendido mercato indio, dove i turisti si sono infiltrati per la gioia dei venditori
Le cartoline spedite finora non ci hanno ancora presentato le popolazioni del Perù, il mercato di Pisac è l’occasione per incontrare tante genti diverse. Il mercato è sempre stato un luogo d’attrazione e di riunione di gente che arriva da lontano, lo specchio del benessere o della povertà, dello spirito attivo e del dinamismo di una popolazione. E’ sempre stato anche, il luogo del colore, sia per i prodotti venduti, sia per la gente che lo frequenta per vedere e mostrarsi agli altri. Quindi, non solo un luogo per scambiare affari, ma un luogo d’incontri e di chiacchiere. Il mercato è sempre una festa! La cartolina da Pisac si spedisce la domenica, perchè il giorno della messa è anche il giorno di mercato. Uno splendido mercato indio, dove i turisti si sono infiltrati per la gioia dei venditori, perchè dove c’è turismo ci sono più soldi. Questo ha causato il proliferare di bancarelle dedicate all’artigianato locale. Rimasto più genuino è invece il reparto dei prodotti della terra, frutta e verdura, dove s’aggirano le andine provenienti da diverse località. Si spostano come bambole di pezza dalle larghe gonne, coi corpetti decorati di bottoni, messe in moto da un soffio vitale che si spegnerà con la fine del mercato, quando, raccolte tutte le mercanzie non vendute, messi i loro piccoli sulla schiena come fagotti indispensabili, se ne tornano ai loro villaggi sparsi nella valle dell’Urubamba. Al centro della piazza di Pisac si può ammirare il pisonay, un enorme e magnifico albero endemico, uno dei pochi sopravvissuti alla soppressione delle specie autoctone a favore di altre straniere, come l’eucalipto. Gli uomini si dirigono verso la chiesa dove convergono i capi dei villaggi limitrofi per assistere alla messa in lingua quechua. Vestono i costumi tradizionali, quelli antichi, il rosso domina, i cappelli dichiarano la loro provenienza insieme ai vara, i bastoni del potere cerchiati di placche d’argento. Anche le donne indossano i loro simboli, cappelli di foggia particolare: quando sul cappello a forma di pizza ci sono delle rose fresche, vuol dire che la ragazza è in cerca di marito. Quando vistose spille di balia sono all’ingiù, allora la ragazza è “indisposta”. Le donne con cappelli-pizza neri a frangia arancione, vengono da Casca, Cotobamba, Viachia, le signore con cappelli neri ornati di lustrini vengono da altri villaggi. In questo mondo variegato ci si sente un po’ intrusi, ed è così, ma uno spettacolo come questo è troppo appagante. La festa più importante che si tiene a Pisac è quella del 15 agosto in onore dell’Assunzione della Vergine, una festa che ha sostituito quelle incaiche. La musica andina risuona nella chiesa e per la piazza, diffondendo dai flauti di pan (per gli andini zampona o siku) il leggero e vibrante soffio delle Ande, una musica dai toni vivaci alternati a note di profonda tristezza. La gente è in maschera e si prende gioco dei conquistadores e degli incas; l’ukukus, la maschera più tipica, ha il volto coperto da una calzamaglia, tra uno scherzo e l’altro, ha il compito di proteggere dagli spiriti maligni, retaggio di un’antica fede legata al culto degli antenati, mai completamente eliminata dal cuore degli andini. Tra l’euforia generale inizia la processione della Madonna: schivi e sospettosi i contadini si lanciano in sfrenate danze, sembrano disinibirsi, anche grazie alla chicha (una grappa distillata dal mais). Nella danza sfogano il senso di sottomissione che si portano dentro da secoli e la sofferenza di una vita quotidiana sempre precaria. Per gli indi le feste sono occasione di solenni sbronze e di uso eccessivo di foglie di coca. In questi due elementi si placa quel senso di disperazione storica diventata endemica in tutte le popolazioni andine. Anche sotto gli incas, capi di uno stato totalitario, i quechua erano sottomessi, timorosi e osservanti della legge imposta dall’alto in un ordine metodico e militaresco, ma erano gli abitanti legittimi del loro paese, non schiavi di un popolo straniero. Ora il Perù, da molto tempo, è una Repubblica Presidenziale libera e indipendente, ma l’angoscia per il loro passato è inconsciamente trasmessa da una generazione all’altra. Una nota sull’artigianato: comprare una ceramica sul mercato di Pisac o in altri luoghi del Perù è come portarsi a casa un pezzo di storia preispanica. Così diversa dalla ceramica greca o romana che a noi occidentali ha raccontato per secoli gli antichi miti greci presentandoci gli dei dell’Olimpo, i vasi di terracotta peruviana c’introducono alla conoscenza della vita reale, quella vissuta quotidianamente dai quechua, riproducendo i loro volti spigolosi, a volte deformati dal dolore, rappresentandoci scene erotiche, quelle che tanto avevano turbato la coscienza religiosa degli spagnoli.
Curiosità Probabilmente queste opere non erano diffuse tra i ceti più bassi della popolazione, ma erano oggetti di corte, erano in ogni caso il retaggio di diverse culture che avevano avuto la loro evoluzione artistica nel corso di 2500 anni di storia. Altra specialità peruviana sono i tessuti, che costituivano insieme ai gioielli d’oro e d’argento gli ornamenti più importanti degli imperatori incas, tanto che se li portavano nelle loro tombe regali. Le mummie rinvenute dagli archeologi erano avvolte in splendidi poncho multicolori. Ora l’artigianato ripete quei modelli pedissequamente, senza alcun apporto innovativo. |